MARIA MADRE DELL’UMANITA’ IN CAMMINO: 6 SETTEMBRE 1981 PELLEGRINAGGIO ALLA CONA
In questi giorni di un settembre ancora estivo, sto scrivendo dei festeggiamenti che hanno luogo in molti centri della Calabria, in onore della Madonna della Montagna: a Reggio, a Taurianova, a Polsi e nella nostra Galatro.
E volendo scrivere della Madonna della Montagna, come non fare riferimento all’Aspromonte, non come luogo di mafia, di omicidi, di paura… ma luogo del millenario Convento basiliano, dei frati che per tanto tempo hanno portato l’immagine della Madonna di Polsi sul petto, in una grande lastra di rame… la Madonna, scolpita nel tufo e colorata, con due occhi neri e fissi che guardano da tutte le parti… una Madonna che non ha nulla di dolce, ma d’imperioso, che nessuno può muoverla dalla sua nicchia senza che avvenga un terremoto, e per poterla portare in processione, poiché non c’è festa senza processione, se n’è fatta una copia, più leggera e non così bella.
Il culto per “questa” Madonna nacque in modo favoloso: c’è di mezzo un re, il conte Ruggiero, una caccia, levrieri, un miracolo. Andando a caccia sull’Aspromonte, il conte Ruggiero sentì i suoi levrieri gridare lontano. Accorse, trovò un bue inginocchiato che frugava col muso per terra. Fu rinvenuta, in quel luogo, una croce greca, nacque così il culto della Madre di Dio… Da allora vari pellegrinaggi si indirizzano verso Polsi, nei primi giorni del mese di settembre e, chi si reca, si può accorgere che la montagna fa tutto un anfiteatro intorno a quel luogo, i viottoli si disegnano chiari fra i boschi e i poggi nudi, gente in fila, per uno, come un rosario, arriva da ogni parte; e da tutte le parti, come da terrazze, valicata la catena dell’Aspromonte, si scopre in fondo alla valle del Convento, il campanile col suo cappello a cono, come se stesse in guardia.
Prendendo a man bassa da uno scritto di Corrado Alvaro tutto quanto sto riportando, mi piace ricordare come, fino a non molti anni addietro, i pellegrini che non erano intenti ad altro prendevano un sasso e lo portavano fino alla croce dell’altura in vista del Convento, qui lo buttavano in una mora di altri sassi, e in alcuni giorni si faceva un cumulo di materiale buono per la fabbrica del convento e degli ospizi dei pellegrini.
Secondo Alvaro… qui si vedevano mille facce della Calabria… ma, tornando alla festa del nostro Paese, mi piace riportare di seguito un mio scritto, sul pellegrinaggio alla Cona che si è svolto nel settembre del 1981 e che il compianto prof. Raffaele Sergio ha inserito nel suo libro “Storia Festività e Folklore da Galatro a Tablada”, pubblicato in occasione della ricorrenza del 25° dell’Incoronazione della Statua della Madonna della Montagna.
Domenica 6 settembre 1981 – Pellegrinaggio alla Cona
MARIA MADRE DELL’UMANITA’ IN CAMMINO
Mira il tuo popolo, bella Signora / che pien di giubilo oggi t’onora.
Anch’io fervente corro ai tuoi piè, / o Santa Vergine, prega per me.
Alle 6 del mattino di domenica 6 settembre 1981, la Chiesa dello Montagna era già affollata di gente che cantando “o Santa Vergine prega per me”, si preparava ad iniziare il lungo pellegrinaggio di 8 chilometri che porterà fino alla Cona: si tratta di un gesto di preghiera e di penitenza1 un cammino compiuto da tutta lo Chiesa di Galatro, un importante momento di verifica della sua unità. Prima di abbandonare il centro abitato per inoltrarci nella strada che porta alla Cona, nell’ampio spazio attorno alla Villa, c’è stata una breve sosta di riflessione: “Siamo pellegrini…” sottolineano don Gildo e Padre Celeste. In un momento così difficile per tutta la società, questo gesto, particolarmente religioso, ha inteso ribadire la presenza di una realtà ecclesiale viva, accogliente delle istanze e dei bisogni della società.
C’è stato un periodo non molto lontano, in cui gli avvenimenti della vita sociale, anche quelle di minima risonanza, le occasioni di uno qualsiasi cerimonia, riuscivano o stanare la gente dalla case. Ormai accade sempre più raramente e stancamente: è l’agonia di un’abitudine passata, non il gesto cosciente e pieno di speranza di un popolo che vive una storia comune. Nell’occasione del pellegrinaggio alla Cona, abbiamo visto smentita tale norma: interroga il fatto che il popolo di Galatro sia accorso così numeroso, proprio dove niente ero stato minimamente forzato da alcuna organizzazione.
lo mi partivi di tantu luntanu / mu vegnu pemmu arrivu a la Madonna,
e la Madonna pari na culonna / la fidi ferma e la speranza torna.
Stanno camminando studenti ed operai, impiegati e casalinghe di ogni età, dai bambini agli anziani, formano una lunga fila e cantano tutti: la gente prega in silenzio sotto una pioggia fredda ed incessante. Ci sentiamo fradici, bagnati, ma il canto sale Io stesso, echeggia per le montagne. La gente non si lamenta, accetta anche la pioggia: il pellegrinaggio è anche una penitenza, neanche l’acqua ci rattrista, anzi, anche se bagnate, le facce s’imporporano, sorridono. In questo pellegrinaggio camminano, faticano e cantano persone attente affinché ogni tempio cristiano, come la Cona, sia sempre più una proposta di “camminare assieme” in una grande unità di fede, che è anche unità di popolo.
Lungo il cammino, lungo questi faticosi chilometri cresce il vigore di una preghiera scarna ed essenziale: la fatica del ritmo, spesso incalzante per la pioggia, fa aderire con tutta la propria persona a questo popolo in cammino. Chiunque ha partecipato al pellegrinaggio, ama ricordare la bellezza di quel gesto: ognuno, anche per un solo attimo, ha guardato in modo diverso la nostra compagna, i nostri monti, le nostre pianure, il paese con le nostre case; in quello stesso attimo ha guardato in modo diverso e con una speranza nuovo se stesso, gli altri uomini e tutto ciò che in quel giorno c’è stato di bello, di pesante, di dolce, di vero.
E li stelli attornu attornu / e la luna splendori nci dà.
E cu lu dici di sira e matina / di la Madonna cuntentu sarà.
Terminata la salita i pellegrini sono salutati dallo spuntar di alcuni raggi di sole: la fatica del cammino e della pioggia è subito dimenticata, si viene coinvolti in un intreccio di canti. La gente della montagna ci viene incontro: c’è chi saluta, chi porge fiori, chi piange in silenzio mentre il canto si leva sempre più forte:
Evviva e sempre evviva / la Madonna del Divino Amore.
Dispensa grazie in tutte l’ore /siamo venuti per venerar
L’arrivo alla Cona è stata una festa, la meta di quasi sei ore di cammino, di tensione verso un luogo dedicato alla Madonna e che la fede della nostra gente ha voluto carico di significato. Tutti i pellegrini si sono assiepati attorno alla collina della Cona. Il canto, il rosario, il silenzio hanno segnato il ritmo di questa giornata, ma il momento centrale è stato la partecipazione all’Eucarestia: il cammino di festa, nonostante tutte le difficoltà che possiamo trovare, trova lì il suo Centro, attorno a questa Presenza. Dopo la Messa la festa è continuata ancora, in un modo spontaneo, semplice, vero, come l’adesione ad un gesto che ha la radice nei secoli, nella nostra tradizione più intima. La festa che abbiamo vissuto alla Cona non ha la durata di un giorno, perché è carica di mille significati: quella festa, come lo stesso pellegrinaggio, non è altro che l’esperienza della fede, rivissuta così come ci è stata tramandata dalla nostra gente: è emerso nella nostra gente un patrimonio culturale che nasce dai riti imparati nella Chiesa, su cui appunto si sono modellati i gesti, il linguaggio, le feste ed anche il lavoro.
Anche per questo è stata una giornata di festa! E speriamo che continui a vivere tutto quello che è accaduto per ognuno di noi in questo pellegrinaggio. Intorno alle 4 del pomeriggio si intraprende la via del ritorno: si parla, si discute, il ritorno diventa festoso… Il pellegrinaggio è anche il luogo naturale di incontro e dialogo, mentre la gente continua a cantare
Ed io non mi movu di ccà / si sta grazia Maria non mi fa.
Facitimmilla Madonna mia, /facitimmilla pe’ carità…
E’ già buio quando si arriva a Galatro: alla Villa c’è un gran numero di persone che aspettano e si aggregano alla gente che scende dalla Cona. La lunga processione si dirige verso la Chiesa: è gente che ha bisogno del sacro, ha bisogno di ascoltare parole nuove, consistenti, diverse dalla vacuità del nostro parlare di tutti i giorni. Arrivati in Chiesa era evidente sulle facce della gente un’espressione stanca, ma tranquilla, sembrò di rivivere le parole del Salmo: “…ci sembrò di sognare, ci rivenne il sorriso alle labbra, cantammo di gioia”. Una gioia così vera, dalla quale traspariva un non dimenticheremo. Prima di concludere il pellegrinaggio don Gildo ha sottolineato come Galatro ha dato una testimonianza concreta della sua religiosità: si ricredano quanti l’avevano data per morta, perché religiosi sono stati tutti i momenti della giornata e gran parte della gente di Galatro vi ha aderito totalmente.
Il pellegrinaggio è finito, la giornata pure, siamo tutti stanchi, resta ancora la forza per salutare la Madonna: ecco, mentre la Vergine viene portata in Chiesa, intorno si alza un coro di voci levigate dalla fatica del giorno che canta:
Bona sira vi dicu a vvùi Madonna, / la Gloriusa di Santa Maria.
E la matina bongiornu, bongiornu, / siti patruna di tuttu lu mundu.
Mu ndi libbara di li peni di lu ‘mpernu, / di tutti li mali disgrazi di Iu mundu…