IL CIELO, LE STELLE E… ADDIO A INDRO MONTANELLI
Sedici anni fa, il 22 luglio 2001, nella clinica La Madonnina di Milano, si spegneva Indro Montanelli, all’età di novantadue anni, uno dei più grandi giornalisti italiani del Novecento.
Nella mia rubrica Osservatorio, su Proposte, nell’immediatezza della morte l’ho voluto ricordare con questo articolo.
IL CIELO, LE STELLE E… ADDIO A INDRO MONTANELLI
Viene spontaneo nelle sere d’estate guardare le stelle… osservare il cielo ed il mistero delle stelle: sollevare lo sguardo verso figure e lampi cui i poeti, come i navigatori ostinati, si sono sempre rivolti con gli occhi asciutti, o con le lacrime che appannano la luce o la rendono più splendente ed inquieta.
Ho letto nei giorni scorsi che “le liriche più belle sono il canto di uomini che alzano lo sguardo verso il cielo. E l’ultimo ragazzetto che scriverà domani il suo tentativo di poesia non avrà forse qualcosa da dire sul suo pezzo di cielo?”.
Per i poeti antichi le stelle erano presenze lontane e la loro natura inaccessibile: su di esse si fantasticava, si congetturava… certe notti chiare di Omero prima della battaglia, riprese da Leopardi e trasformate in notti di alta tensione, di altra interiore battaglia… e le stelle doveva sempre tornare a guardare nel suo viaggio il sommo Dante: in lui le stelle hanno a che fare con il destino… ma anche con l’impeto di conoscenza di Ulisse o con la bellezza che illumina il volto di Beatrice.
Il cielo stellato è come un cinema dove il poeta vede proiettati i sentimenti degli uomini, le loro storie, il loro magone.
Ho letto che ci sono certe poesie dove, “a volte è come se il cielo fosse la mano che rapisce dalla gola dei poeti quel che altrimenti non uscirebbe. Come se il buio sterminato fosse una cavità che aspetta il lume, per quanto debole, di una voce umana. E poiché la poesia ha sempre qualcosa in comune con la memoria, le stelle, vive di luce eppure così affondate nel tempo, così spente da chissà quanto eppure così luminose, sono l’emblema di un’azione che la poesia stessa tenta di compiere: nulla muoia, dia ancora segnale di vita quel che è irrimediabilmente avvolto nel passato”.
Era di questo che volevo scrivere in questo mio osservatorio estivo, erano questi i concetti che volevo esplicitare in questa mia rubrica… ma devo scrivere d’altro… almeno all’apparenza devo scrivere della scomparsa di una stella, una stella del giornalismo italiano che, chissà, forse alzando gli occhi al cielo, in una notte stellata, non la si scorga senza saperlo..
Non posso non ricordare, in questo mio piccolo appezzamento di carta stampata, la morte di Indro Montanelli.
Con quel suo caratteraccio immagino le risate che si sarà fatte, da lassù dove ormai vede tutto, nel leggere quanto è stato scritto di lui in questi giorni. Forse per evitare ostentazioni con l’ultimo suo articolo ha provveduto anche al suo necrologio. Io cambierò la data, perché lui l’aveva anticipata di cinque giorni. “Domenica 22 luglio alle ore 17.30. Giunto al termine della sua lunga e tormentata esistenza, Indro Montanelli, giornalista, Fucecchio 1909, Milano 2001, prende congedo dai suoi lettori ringraziandoli dell’affetto e della fedeltà con cui lo hanno seguito. Le sue cremate ceneri siano raccolte in un’urna fissata alla base, ma non murata, sopra il loculo di sua madre Maddalena nella modesta cappella di Fucecchio. Non sono gradite né cerimonie religiose, né commemorazioni civili”.
Di fronte ai fiumi d’inchiostro spesi a commento di questa morte, io resto in silenzio, ricordando solo che la mia formazione culturale è legata strettamente a Montanelli ed al Giornale. Non dico altro… il resto lo lascio a Roberto Gervaso che, in un articolo apparso sul Giornale, scrive di Montanelli, quello che, penso, a Montanelli avrebbe fatto piacere leggere: “Caro Indro, te ne sei andato… a 92 anni, deludendoci. Da te ci aspettavamo un commiato meno precoce. Da te ci aspettavamo un traguardo più avanzato e ambizioso: il traguardo dei cento anni. Nessuno più di te, meritava di riempire fino in fondo questo secolo. Te ne sei andato non solo perché il destino così aveva deciso. Te ne sei andato perché eri stanco di vivere. Lo dicevi. Lo scrivevi. Lo si sentiva nelle tue parole, lo si leggeva nelle tue “Stanze”. Questo mondo non ti piaceva e non ne facevi mistero. Così diverso da quello in cui eri nato e vissuto, diventando non un grande giornalista: il più grande; non un grande maestro: il Maestro. Per tutti, e non solo per me, che per tanti anni ti sono stato vicino. Una vicinanza scomodissima, perché scomodissimo eri tu, con il tuo caratteraccio… Mi prendesti sotto le tue ali… ali pesantissime. Ma quante cose, sotto quelle ali, ho imparato. M’insegnasti a scrivere non per il barone o il bramino, per il dotto o l’accademico. M’insegnasti a scrivere per tutti, con umiltà ed orgoglio. Umiltà verso il lettore che, ripetevi, ha sempre ragione. E con orgoglio verso un mestiere, come lo chiamavi tu, che era e, almeno per me, è rimasto, il più bello del mondo… Quanti aneddoti, quanti giudizi, quante battute, quanti paradossi. Ce n’era per tutti, non risparmiavi nessuno: nemmeno te stesso. Ricordi? Missiroli che diceva: “Montanelli? Che talento! Fa capire agli altri quello che non capisce nemmeno lui”… Ora, caro Indro, non ci sei più. Sei partito per il più lungo dei viaggi. Un viaggio che tutti faremo. Meta: l’aldilà. Hai dimenticato la Lettera 22. Poco male. Scriverai lo stesso bellissimi articoli. Pensa quanti spunti, fra le nuvole e le stelle, a tu per tu con il Sole, Venere e Marte. Pensa quanti altri incontri usciranno dalla tua penna. E quante interviste esclusive. Non te la negherà nemmeno San Pietro e, forse, ti dirà di sì anche il Padreterno. I lettori non ti mancheranno. E non ti mancheranno i fan. Li affascinerai e li delizierai come hai affascinato e deliziato noi. E, poi, incontrerai tanti vecchi amici: da Panfiluccio che, finalmente, non avrà più paura di Atropo e delle sue cesoie, all’austero e pettegolo Ricciardetto, Augusto Guerriero, che quella sera, ricordi, al “Buco”, rischiò di soffocarsi con una mozzarella in carrozza. E potrai fare lunghe chiacchierate con Prezzolini e furiose, affettuose litigate con Longanesi. Vedrai, caro Indro, non ti annoierai.
Ora ti lascio. Non voglio farti perdere tempo. So che domani debutterai sul “Corriere del cielo” con una nuova “Stanza”. Peccato non poterla leggere. Mettimela da parte. Buon lavoro dal tuo Roberto Gervaso”.