GALATRO E GALATRESI – FATTI, PERSONE, USI E MESTIERI CHE FURONO: IL BANDITORE, IL SUO VICE E A “LIBRETTA” – di Peppe Ocello
IL BANDITORE
La figura del banditore affonda le sue radici nel lontano medioevo, quando giunto in piazza con al seguito un piccolo drappello di cavalieri, richiamava l’attenzione del volgo per poi srotolare il papiro e leggere loro le volontà del sovrano. Qui, nella nostra Galatro, il Banditore Ufficiale per conto del Comune è un servizio che si è protratto fino a buona parte degli anni ‘70. Causa il forte tasso di analfabetismo che interessava una cospicua fetta della popolazione, quando vi era una comunicazione importante, l’Ente Locale provvedeva tramite “bando verbale” a informare e avvisare la cittadinanza sugli adempimenti amministrativi e/o legislativi adottati, sia nel caso si trattasse di nuove disposizioni che di modifica a quelle già esistenti. Provvedimenti in forza dei quali, la cittadinanza andava compiutamente avvertita e avviata all’osservanza degli stessi. Oltre a questioni amministrative e legali, la misura poteva riguardare anche iniziative volte a migliorare il comportamento igienico-sanitario del cittadino, a comunicare l’eventuale interruzione del servizio idrico o elettrico per manutenzione o riparazione, a metterlo in guardia da emergenze e calamità.
Quella del banditore era il primo gradino della scala sociale del tempo poiché, al contrario della più umile e gravosa manovalanza, essa richiedeva (anche se minima) una certa capacità nel far proprio il significato di quanto insito nell’avviso, per poi porgerlo in forma anche sintetica, ma imprescindibilmente comprensibile, al resto dei compaesani. Poteva anche trasmettere notizie provenienti da privati quali l’apertura di un nuovo negozio, promuovere sconti e prodotti degli esercenti locali. Il nostro non percorreva le strade del nostro paese né a cavallo, né su mezzi a motore, a quei tempi a Galatro abbastanza rari, ma a piedi e con passo veloce. Ecco allora che di mattina presto, si udiva già da lontano la voce del Peppino Aloi strillare a toni alti il provvedimento comunale. Solo che essendo stato emigrato per diverso tempo in Argentina, il suo esprimersi era reso meno comprensibile dal mescolamento delle due lingue nazionali. La difficoltà nel comprendere immediatamente quanto da egli bandito, era anche dovuta alla sua caratteristica “parlata”, piuttosto veloce e alla mancanza di un qualsiasi strumento di amplificazione sonora. Ad ogni modo, tra la successiva ripetizione che egli con mestiere compiva in brevissimi tratti, e le indispensabili interpellanze tra i vicini (chi dissi, tu chi capiscisti?), il messaggio raggiungeva il suo fine. E’ grazie all’immancabile “camuffo” indossato in maniera piuttosto personale, che egli sicuramente portava al collo a protezione della preziosa ugola, ma anche alla piccola e agile statura, ai gesti rapidi di mani e braccia che accompagnavano il suo dire, al suo passo rapido e scattante nel percorrere le vie del nostro centro urbano, che a me allora bambino, veniva spontaneo associarlo al simpatico folletto ritratto nel logo del gelato Eldorado. Tanto in voga e ambito in termini di golosità da ragazzi e ragazze, ma non da tutti immediatamente acquistabile, date le generali ristrettezze economiche delle famiglie di quell’epoca.
IL VICE BANDITORE
Quando il banditore ufficiale era indisponibile, vi era il buon Rocco Gallizzi a farne le veci. Non che la chiarezza degli annunci ne guadagnasse molto in termini di qualità percettiva; Vuoi perché pur non conoscendo altra lingua al di fuori del nostro dialetto si sforzava di esprimersi in un italiano tanto ostentato quanto approssimativo, ed anche perché già riduceva, e non di poco, il contenuto dell’avviso oggetto del bando, in base a ciò che era in grado di ricordare con l’ausilio della sola memoria. Si prestava però anche alle consegne porta a porta con la massima disponibilità e umiltà. Ed è proprio su una di queste attività in particolare, grazie alla simpatica quanto singolare (per l’uomo, che di norma usa la spalla) caratteristica, che è cristallizzata nella mia memoria l’immagine del signor Rocco. Lo rivedo come fosse adesso mentre trasporta, sulla testa, la pesante bombola di gpl commissionata a don Alfonso Di Matteo dal cliente di turno. Se la caricava parallelamente alle proprie spalle mantenendola in bilico con le mani a reggerne le estremità, e si avviava così, con le braccia larghe e alzate a formare una sorta di triangolo capovolto, o meglio ancora, uno di quei tralicci a forma di T maiuscola dell’alta tensione, per consegnarla a domicilio. Già da lontano era palesemente visibile l’eccessivo rossore assunto dal viso per lo sforzo di dover reggere il consistente peso, come pure le contrazioni dei muscoli del collo nel controllarne le naturali oscillazioni innescate dal movimento. A far da cuscinetto tra il capo e il pesante contenitore metallico trasportato, la scarna protezione di una esile sciarpa raccolta a mo’ di ciambella, e poggiata sulla immancabile “barritta” (berretto).
A “LIBRETTA”
Erano gli anni della ripresa economica dal secondo dopoguerra, il cosiddetto boom economico che stava ridando lustro a un’Italia che era uscita profondamente segnata e impoverita dal conflitto. Le maggiori città erano state distrutte, come molti paesi e le vie di comunicazione. E ora, grazie al piano Marshall, il nord industrializzato produceva il doppio e vendeva a livello mondiale. Ma ciò non avveniva qui da noi, al Sud, rimasto senza industrie e ancorato a un’agricoltura tradizionale, manuale e arcaica a cospetto di quella meccanizzata e ricca del nord. Quindi, o ti arrangiavi e ti accontentavi di lavori umili e sottopagati, o emigravi al nord, dove c’era un posto per chiunque, specie nelle fabbriche (leggi FIAT). Qui a Galatro come nella regione Calabria tutta, bisognava arrangiarsi, lavoro poco e pesante con paghe piccole e dilazionate in tempi lunghi e incerti. Mi viene quindi in mente la famosa “libretta”, un’antesignana dell’odierna linea di credito, un fido, non di denaro ma di dilatazione del tempo, un surrogato momentaneo del contante. Cartacea, concessa dagli esercenti sulla fiducia ai clienti ritenuti “affidabili”, con cui andavamo dal salumiere per un quarto di pasta o di pane o di farina. Poi, giusto il tempo che (di norma) l’unico genitore lavorante fosse remunerato dal datore di lavoro, e si sanava il debito. Talvolta capitava che quella specie di block notes esaurisse i fogli su cui venivano annotati la data, i prodotti acquistati, le quantità e i relativi prezzi, per cui si passava alla libretta numero 2, 3…, tanti quanti erano più o meno i mesi di ritardo della “busta paga”, come pure del mancato saldo. In tali circostanze, l’esercente, con un atteggiamento misto tra l’ostentata gentilezza e la più veritiera “scocciatura” per il protrarsi del debito, vedendoti passare dicesse: <<Pascalinedu, oppure Rocchicedu, Chelinedu, dinci a mammata i chidu cunticedu…>>. Indipendentemente se lì vicino vi fossero persone. Quando ciò veniva invece (raramente, e solo ai pluri-ritardatari cronici) riferito al genitore, l’imbarazzo saliva alle stelle. Ebbene, pur in un quadro così poco confortante, la nostra piccola comunità Galatrese, grazie a sistemi di mutuo aiuto e solidarietà come la citata libretta, all’operosità del suo popolo che ha sempre fatto della dignità personale e della famiglia la propria bandiera, tra stenti, sacrifici e rinunce è riuscita a sollevare le proprie sorti.
A tutte quelle persone dell’epoca, c’è soltanto da dire un immenso GRAZIE!