BARLAAM CALABRO: UNA VOCAZIONE UNIONISTA
Una testimonianza concreta e avvincente, da quel capitale prezioso quanto inesplorato, che si chiama “medioevo” che, oggi più che mai, domanda di essere ri-conosciuto per poter ri-scoprire, nei giorni nostri, una unità di valori, una comunione di intenzioni e di identità, ci viene oggi presentata con la pubblicazione del libro di Domenico Mandaglio, “Barlaam calabro: una vocazione unionista”. Il libro si presenta come un’opera di sintesi delle copiose ricerche che l’Autore ha condotto su Bernardo Massari, meglio noto come Barlaam di Seminara, e come una introduzione appassionante a tutta l’epoca medievale.
Il libro ha un preciso taglio: è centrato sulle tensioni spirituali e intellettuali, in un preciso periodo circoscritto al secolo XII, soprattutto quando
“Barlaam di Seminara, conosciuto come primo vescovo di Gerace e maestro di greco di Petrarca e Boccaccio, ha legato il suo nome alla appassionata campagna unionista portata avanti per anni, con l’obiettivo di giungere alla unificazione della Chiesa di Oriente a quella d’Occidente”.
Non a torto si possono intravvedere, nella lettura del libro di Mimmo Mandaglio, dei punti essenziali sui quali l’Autore si è particolarmente soffermato che consentono una comprensione storicamente più “realistica” dell’intera vicenda culturale del Medioevo, di cui il secolo in cui ha vissuto Barlaam rappresenta il “cuore” per andare al fondo della questione: con questo libro l’Autore ha dimostrato la capacità di ri-tornare (o di ri-dire, tanto per andare ad una citazione a lui cara!) al “cuore” del pensiero di Barlaam, libero da preoccupazioni apologetiche, da nostalgie strumentali o da imposizioni di mode culturali che vogliono vedere il Medioevo solo con l’etichetta ormai stereotipata di “secoli bui”, ed ha contribuito a portare un approfondimento antropologico e ontologico di vitale importanza per l’uomo dei nostri giorni, che ancora ha il coraggio di interrogare a fondo la realtà della storia quotidiana che vive.
C’è un complesso di ragioni che mi fa apprezzare l’importante opera del Mandaglio su Barlaam, dove oltre alla conoscenza di un monaco famoso per le sue conoscenze in tutti i rami del sapere, al quale non a caso fu affidata una cattedra all’Università di Costantinopoli, l’Autore dimostra una approfondita conoscenza del pensiero medievale, dei suoi valori e di tutto un contributo e un apporto spirituale e culturale che si presenta, nel Medioevo così come ai nostri giorni, come una testimonianza concreta ed avvincente che ha saputo dare un incremento notevole alla civiltà nella quale viviamo. Una cosa che mi ha particolarmente affascinato, durante la lettura del libro, è l’indagine che partendo dal monachesimo va ad approfondire altri aspetti della civiltà medievale, alla ricerca di dati obiettivi che si contrappongono a tutti quei luoghi comuni stereotipati che presentano il Medioevo come “il tempo dei secoli bui”. Sotto questo profilo, l’Autore svolge un accurato, quanto appassionato, studio che contribuisce a far mutare radicalmente il concetto che in tanti, talvolta in maniera inconsapevole, sostengono che “Medioevo” è sinonimo di epoca di ignoranza, di abbrutimento, di sottosviluppo.
Nelle pagine del libro si vede, anzi si tocca con mano, la cultura monastica nella quale si è formato Barlaam, in esso è raccontata proprio una visione del monachesimo improntata all’amore della cultura e al desiderio di Dio: questa è l’essenza della cultura monastica assimilata, e poi trasmessa, da Barlaam nel suo peregrinare nei tanti monasteri e conventi che ha avuto modo di frequentare nella sua vita, compreso il Convento di sant’Elia di Galatro, dove ha compiuto i suoi studi presbiterali con i monaci greco-bizantini.
Attraverso lo studio, il lavoro e la cultura di monaci come Barlaam, dal Medioevo chi è stato tramandato un grande patrimonio di civiltà e anche delle grandi testimonianze di fede: si è sempre sostenuto, infatti, che i monaci, anche se non parlavano, predicavano, perché offrivano l’esempio di una vita in pace con Dio, di fronte a momenti di grandi turbamenti, di guerre, di contrasti, di cui pure il medioevo fu pieno.
Parlando con Mimmo Mandaglio, ho voluto porre delle domande, per capire meglio questo suo impegno che lo ha portato alla pubblicazione di questo bel volume su Barlaam.
Perché hai voluto impegnarti in un libro proprio su Barlaam?
Ho letto tanto su Barlaam, ma ti posso assicurare che non ho mai trovato un libro completo, organico, sistematico in grado di fare luce e spiegare bene chi era questo grande figlio della nostra terra. Per questo mi sono messo al lavoro, raccogliendo articoli, accenni, conferenze fatti da persone che, nel corso degli anni passati, avevano cercato di trattare la figura di Barlaam. Ho raccolto tanto materiale e, dopo averlo approfondito con ulteriori e più attenti studi, ho capito che potevo mettermi all’opera per far conoscere, in un lavoro sistematico e completo, una fisionomia sconosciuta di Barlaam. Ho cercato di esplorare tutti gli aspetti dalla sua grande cultura, a cominciare dall’ambiente monastico nel quale ha vissuto, e mi sono potuto rendere conto che l’ambiente monastico di fine Medioevo in Calabria era degno dei più grandi centri culturali d’Italia. Noi siamo abituati di ripetere quello che ci hanno insegnato, canonicamente, a scuola, cioè che le città toscane o umbre sono state la culla di tutta una civiltà che attraverso l’impegno e cultura dei monaci ha lasciato un forte segno all’ambiente. Ecco, io penso che, per quanto ci riguarda, anche se si è approfondito poco questo periodo, e la Calabria è stata vista solo come punto di passaggio per la Sicilia o il Nord d’Italia, secondo me, invece, la nostra terra era un posto saturo di sapienza sia sotto l’aspetto linguistico (lo studio del greco innanzitutto), sia per i numerosissimi monasteri basiliani che erano punti di divulgazione di grande cultura. Ecco, nel mio libro, mi sono adoperato a rappresentare questo’ambiente sociale, storico, politico e culturale, perché ritengo che la Calabria abbia rappresentato per tante persone un punto di passaggio, ma per i greci fu un punto di arrivo. Il nome di Barlaam è legato soprattutto al suo impegno per l’unione della Chiesa orientale con quella occidentale: Barlaam, a mio avviso, è stato grande per la sua oculatezza ad impegnarsi per l’unione della Chiesa di Oriente a quella d’Occidente, tanto da dedicare la sua vita a questo importante compito, cercando di percorrere tutte le strade diplomatiche, in vista della fondamentale importanza dell’Unione dei cristiani. Tutto questo per vari motivi: per motivi politici, religiosi, capaci di dirimere le discordie tra cristiani, dovute più a inezie che a motivi realmente seri. Da buon calabrese cocciuto, Vere calaber, lottò fino alla fine con l’arma della sapienza e dell’intelligenza ma, soprattutto, con l’arma del buon senso, mettendo a tacere orgoglio e superbia pur di raggiungere il vero scopo a cui tendeva il suo impegno. Ho voluto esporre nel libro le sue opere che servirono per le lezioni all’università in Grecia, le sue invettive che erano più di difesa o di giustificazione e, infine, ho esposto i suoi interventi di fronte al Papa, finalizzati a convincerlo ad andare in aiuto ai fratelli greci. Su questi temi Barlaam intervenne dicendo cose grandi dal punto di vista teologico ma, soprattutto, ha preveduto con molto acume quello che poteva succedere in Oriente, cioè una catastrofe culturale, religiosa e politica con enormi martiri… Così come successe, in seguito, con le invasioni turche.
Un bel libro su un grande calabrese… come mai pubblicato a Ravenna?
Ho voluto fare un glossario per esprimere al meglio il linguaggio usato, cosa che per me è molto importante. Il professore Enrico Morini dell’Università di Bologna, che è uno dei più grandi esperti di storia romea, è stato entusiasta del mio lavoro, così anche Mario Agostinelli professore di filosofia a Ravenna. Il libro l’ha voluto pubblicare Claudio Nanni di Ravenna perché Ravenna fu la culla della cultura bizantina in Italia. Queste tre queste persone che ho appena citato, sono di una sensibilità culturale veramente molto grande, con una umanità enorme, ed io li voglio ringraziare veramente tanto. Questi sono i veri motivi per cui ho scritto questo libro, cioè il volere dedicare la mia attenzione su qualcosa di cui vale la pena scrivere, evitando di andare dietro alle pubblicazioni che oggi vanno di moda o che portano soldi. A me, sinceramente, interessa la cultura, non i soldi.
Complimenti Mimmo per il bel libro… in mezzo a tanta crisi di valori, il compito degli studiosi seri è quello di riuscire, nel buio della crisi che ci pervade da più parti, a fare continuare a splendere una luce, magari una piccola luce come quella di un accendino, ma sicuramente diversa dall’oscurità che cerca di avvolgerci. E la tua opera contribuisce a portare una piccola luce già sperimentata, esattamente come quella che brillava nei monasteri, dove uomini normali mostrarono possibile la stabilità di un mondo travolto da irrefrenabili migrazioni, mostrarono la fraternità in mezzo alla violenza, la costruttività alternativa al crollo di tutto.
E, ti assicuro che poco importa se i professionisti della politica diranno che è un’illusione e gli intellettuali che è un’ingenuità. Resta il fatto che quei monaci hanno costruito, senza neppure pensarci, una civiltà.
E a te, con il tuo libro, va il merito di continuare a rendere quella luce ancora viva nei nostri giorni…