BRACIERI AL CORTEO FUNEBRE

Negli anni passati, in tanti paesi, ai funerali vi erano le donne, le “prefiche”, o “chianci morti”, assoldate per esaltare i pregi, le virtù dei morti; ma accanto a queste, soprattutto nel nostro paese, vi erano delle donne che si collocavano ai lati della bara e accompagnavano il morto fino al cimitero portando sulla testa un braciere con carboni accesi. Ho scritto più volte di avere tante foto che testimoniano questa tradizione a Galatro, ma cercando di trovare le fonti per approfondirne l’origine e il significato, non mi ero reso conto di avere la risposta a portata di mano. Ho scritto, nel presentare il libro “Pagine di Storia” di Umberto di Stilo, come lo scrittore Umberto Eco, in una intervista rilasciata prima di morire ha detto che “l’uomo colto non è quello che sa tutto e ricorda tutto quello che ha letto, ma quello che sa dove andare a cercare l’informazione nell’unico momento della vita in cui gli serve”. Proprio in questa affermazione di Umberto Eco si colloca l’importanza del meticoloso quanto prezioso lavoro che, oltre ad essere il frutto di una immane fatica di ricerca e di studio, è anche un atto di amore per il nostro paese, verso il quale anche chi non si è mai addentrato nelle vicende “storiche” della nostra Galatro, e non si ritiene un cultore della memoria del nostro paese, deve dire “grazie” a Umberto Di Stilo perché ci lascia, oltre una grande testimonianza, anche la possibilità di andare a trovare quella informazione che solo lui ci poteva dare, nel momento in cui ne siamo alla ricerca. Infatti, andando a spulciare nel libro “Fogli Sparsi” di Umberto di Stilo, ho trovato proprio quanto mi serviva per capire, e commentare, le foto delle donne che con il braciere in testa accompagnavano il morto fino all’entrata del cimitero.

BRACIERI AL CORTEO FUNEBRE

di Umberto di Stilo

Fino a pochi decenni addietro, a Galatro, il lutto e il funerale mantenevano le stesse modalità di svolgimento dei secoli passati, modalità che alla nostra civiltà contadina erano state tramandate dalla cultura magno-greca e romana nella quale affondiamo le radici. Mentre, però, le consuetudini legate ai giorni del lutto erano press’a poco simili a quelle degli altri paesi del circondario, quelle del corteo funebre si differenziavano per la presenza dei bracieri col fuoco acceso che alcune pie donne del popolo, poste ai lati della bara sorretta sulle spalle da portatori volontari o adagiata sul carro funebre, portavano in testa e nei quali, per tutta la durata del funerale, veniva bruciato incenso (1) o, in sostituzione di esso, molto più semplicemente, zucchero. Il fuoco e l’incenso assumevano un valore simbolico che andava oltre il rituale che si perpetuava da secoli e idealmente prendevano i contorni di una comunitaria preghiera di accompagnamento dell’anima del defunto fin sulla soglia del mondo dell’aldilà.

Il numero delle donne coi bracieri in testa – due o quattro – variava secondo l’età, la reputazione e il ceto sociale della persona defunta. La tradizione dei bracieri ai funerali é molto antica e trae origine dalla credenza popolare che i primi cristiani avevano ereditato dal popolo romano il quale, professando il culto dei morti, credeva che insieme al fumo dell’incenso salisse verso il cielo anche la preghiera che i fedeli recitavano in suffragio dell’anima del defunto. (2) Credevano, inoltre, che proprio a quel fumo spettasse il compito di accompagnare le anime dei trapassati fin nella vita ultraterrena. Credenze antiche che divennero diffusa religiosità popolare e che trovano precisi riferimenti in diverse opere letterarie di autori latini oltre che in ciò che si legge nella Apocalisse di Giovanni: “l’alzarsi della nuvola d’incenso diventa simbolo della preghiera che si innalza fino a Dio”. (3) Dalle antiche fonti letterarie apprendiamo che i romani conferivano grande considerazione alle cerimonie dei funerali e, in particolare, davano molta importanza all’uso dell’incenso che deponevano ai piedi del letto funebre, durante l’esposizione del defunto. Ovidio parla di “tura ferenda rogo” (4) (incenso da bruciare nel rogo) e Marziale scrive che necessitava “addere tura rogis” (5) (aggiungere incenso al rogo). I romani presso la tomba del familiare defunto ponevano una lucerna nella quale per diversi giorni bruciavano incenso. Tertulliano, (6) scrittore, filosofo ed apologeta cristiano, testimonia che i primi romani convertiti al cristianesimo, pur mantenendo una iniziale avversione all’utilizzo dell’incenso in quanto simbolo di idolatria, ne compravano ingenti quantità per esclusivo uso funerario: christianis sepeliendis (per seppellire i cristiani).

Altre autorevoli fonti cristiane rivelano che nell’uso funerario dell’incenso, sin dalle origini della chiesa, c’é una continuità storica con le comunità giudaiche. Soprattutto in relazione ai corpi dei martiri. Si ritiene, comunque, che presso i primi cristiani l’impiego liturgico dell’incenso sia derivato dall’iniziale utilizzo funebre e che l’uso di tale sostanza aromatica volesse richiamare l’unzione con aloe e mirra che il discepolo Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea fecero sul corpo di Cristo prima che venisse deposto nel sepolcro. (7) In chiave simbolica sant’Ambrogio (8) soleva ricordare che così come l’uccello Fenice riempiva d’incenso e di altri aromi il nido in cui sapeva di morire e poi di risorgere, analogamente il cristiano doveva riempire il suo sepolcro di aromi, virtù cristiane, per poter risorgere a nuova vita. (9) Prepararsi alla morte, insomma, nella consapevolezza della rinascita.

Nella tradizione cristiana, inoltre, l’incenso che brucia, oltre ad essere simbolo di venerazione, é manifestazione di preghiera e di tributo d’onore. Nella consuetudine galatrese l’incenso che si faceva bruciare nei bracieri, pertanto, voleva essere manifestazione di preghiera corale ma voleva essere, soprattutto, il tributo d’onore che la collettività rendeva alla persona defunta che in corteo veniva accompagnata all’ultima dimora. Ma non é tutto. Nella tradizione dei bracieri con i carboni accesi in cui veniva bruciato incenso, grande valore simbolico assumeva anche il fuoco perché, com’é proprio della concezione cristiana, esso evoca l’azione salvifica di Dio. Non bisogna dimenticare, infatti, che nella storia biblica il fuoco accompagna la manifestazione di Dio e, sempre nel fuoco, consegna la sua parola viva ed energica. D’altra parte, il fuoco, in tutte le religioni, é posto al centro del culto per esprimere la divinità ed il suo operare. Il fuoco illumina, purifica, riscalda, consuma, distrugge e trasforma.

Nella nostra religione cattolica, in particolare, il fuoco, come simbolo di divinità, trova la sua massima celebrazione nella liturgia della veglia pasquale. Non solo per l’accensione e la benedizione del nuovo fuoco ma anche per l’accensione del cero, acceso col fuoco appena benedetto, che é simbolo di Cristo risorto, vera luce del mondo che illumina ogni uomo e vera parola di fuoco fatta carne. (10) L’inizio stesso della Chiesa cattolica si concretizza attraverso l’azione di quelle lingue di fuoco attraverso le quali c’é stata l’effusione dello Spirito Santo. Valore simbolico dell’incenso e del fuoco, dunque, nella tradizionale presenza dei bracieri ai funerali di Galatro. Nella tradizionale presenza dei bracieri accanto alle bare dei defunti, pertanto, insieme all’esteriorità dell’evento, dobbiamo vedere il profondo significato affettivo e religioso con il quale i congiunti e la comunità intendeva “salutare” il caro estinto. Una estrema testimonianza, un ultimo tributo di affetto che si materializzava attraverso un silenzioso ma assai persuasivo ed efficace gesto di religiosità popolare.

NOTE

1 Il termine incenso deriva dal latino incendere, e designa la resina aromatica ottenuta dalla Boswellia sacra, un albero proveniente dal vicino oriente. Il suo uso nel culto divino risale ai tempi di Mosè che ricevette da Dio la ricetta per la sua elaborazione (cfr. Es 30, 34-36).  Nel Tempio di Gerusalemme i lampadari accesi e la colonna costante d’incenso che saliva verso l’alto significavano la presenza di Dio. La colonna ricordava quella che, costituita di nuvole durante il giorno e di fuoco durante la notte, guidò il popolo nell’uscita dall’Egitto.

2 Nel Salmo140,2 si legge: “come incenso salga a Te la mia preghiera”.

3 Apocalisse di Giovanni, Salmo 140, 2; 8, 3-5.

4 P. Ovidio Nasone: Consolatio ad Liviam, 187-188.

5 M. Valerio Marziale: Epigrammi, X –XXVI, 5-6.

6 Q. Settimio Valerio Tertulliano: Apologeticum, XLII, 7; De idolatria, XI.

7 Vedi: Vangelo di Giovanni, 39-42.

8 Aurelio Ambrogio, meglio conosciuto come sant’Ambrogio (Treviri 339 Milano, 4 aprile 397) è stato un funzionario, vescovo, teologo e santo romano e una delle personalità più importanti nella Chiesa del IV secolo.

9 P. di Terlizzi: Considerazioni sulla presenza dell’incenso. In La necropoli tardo antica – atti delle giornate di studio – Milano, gennaio 1999 – Ed. Vita e pensiero, 2001 – pag.178.

10 Versetti del capitolo 23 del libro “Geremia” della Sacra Bibbia.

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Una risposta

  1. Salvatore Rizzo ha detto:

    Grazie, Michele Scozzarra. Con i tuoi scritti, i tuoi studi e gli adeguati approfondimenti, frutto di ricerche che ci tramandi con una adeguata bibliografia, ci fai assaporare le nostre radici che spesso vengono dimenticate.
    Rivivere il passato per conoscere il presente ci aiuta ad assere orgogliosi della nostra cultura e degli intellettuali che onorano il nostro territorio.

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