CARO DON GIUSEPPE
Caro don Giuseppe,
con la tua designazione, da parte di Mons. Luciano Bux, alla titolarità della parrocchia di San Pietro di Caridà, anche per te si è conclusa una pagina significativa della tua storia nella Chiesa di Galatro. Per quasi due anni e mezzo, insieme a don Cosimo, hai esercitato splendidamente il tuo ministero sacerdotale e il cammino percorso è stato intenso e importante, soprattutto nel campo della formazione dei giovani, dove con le attività dell’oratorio “don Bosco” e le iniziative realizzate con l’estate-ragazzi, tra fruitori ed animatori, sei riuscito a coinvolgere quasi tutti i giovani galatresi.
La nostra comunità ti ha accolto con gioia nel momento in cui sei arrivato in mezzo a noi e, oggi, nel momento della tua partenza, con la preghiera ti accompagna nella comunità che ti è stata assegnata, alla quale hanno fatto parte, nei secoli passati, grandi figure di sacerdoti galatresi, tra i quali il Canonico Giovanni Conia e l’Abate Antonio Martino.
Da domani, anche tu dovrai, forse ancor più di quanto hai fatto in mezzo a noi, ascoltare, assolvere, incoraggiare, raccogliere le gioie ed i dolori della tua nuova comunità… dovrai avere ancora di più la “santa inquietudine” del sacerdote di Cristo, il quale non può restare indifferente a che tanti suoi parrocchiani vivano nel “deserto”. E, come ci dice continuamente il Santo Pontefice, anche nei nostri paesi vi sono tante forme di “deserto”: vi è il deserto della povertà, il deserto della fame e della sete, vi è il deserto dell’abbandono, della solitudine, dell’amore distrutto. E, oggi più che mai, il compito dei Pastori della Chiesa è di lavorare per cercare di condurre gli uomini fuori da questo deserto, verso luoghi di vita, verso l’amicizia con Colui che ci dona la pienezza della vita, perché non è il “potere” che redime, ma l’amore, per questo la Parrocchia non è “una realtà civile, burocratica, funzionale secondo i principi del mondo e della “politica” che lo governa”; ma è “una porzione del Popolo di Dio in un territorio definito che rientra nella realtà del grande mistero della Chiesa”.
Caro don Giuseppe, penso che in questo momento, anche a te possiamo solo dire “grazie” per il servizio che hai reso alla nostra Chiesa particolare, nella certezza che continuerai a testimoniare, nella nuova realtà che ti è stata affidata, che ciò che abbiamo di più caro nella nostra fede, ciò per cui vale la pena spendere tutte le nostre energie, è Cristo stesso, e testimoniare la nostra vicinanza al Papa, che non ha reticenze nel dire, in forma chiara per tutti: “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero… La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde – gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore. Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni.
Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie… Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. “Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è questa fede, solo la fede, che crea unità e si realizza nella carità. San Paolo ci offre a questo proposito, in contrasto con le continue peripezie di coloro che sono come fanciulli sballottati dalle onde, una bella parola: fare la verità nella carità, come formula fondamentale dell’esistenza cristiana. In Cristo, coincidono verità e carità. Nella misura in cui ci avviciniamo a Cristo, anche nella nostra vita, verità e carità si fondono. La carità senza verità sarebbe cieca; la verità senza carità sarebbe come “un cembalo che tintinna”.
Con questi pensieri, ti esprimo il mio grazie per il servizio reso alla comunità di Galatro, e ti assicuro che la nostra preghiera non mancherà di accompagnarti e seguirti in questa nuova pagina di fede affinché tu possa, così come scrive Eliot, essere un vero missionario capace di “edificare la Chiesa”, facendo in modo che essa non sia considerata “estranea” ai veri bisogni degli uomini, perché questa è l’unica strada per la costruzione di una società più giusta.
“In luoghi abbandonati
Noi costruiremo con mattoni nuovi
Vi sono mani e macchine
E argilla per nuovi mattoni
E calce per nuova calcina.
Dove i mattoni sono caduti
Costruiremo con pietra nuova
Dove le travi sono marcite
Costruiremo con nuovo legname
Dove le parole non sono pronunciate
Costruiremo con nuovo linguaggio.
C’è un lavoro comune
Una Chiesa per tutti
E un impiego per ciascuno
Ognuno al suo lavoro.
Senza indugio, senza fretta
Costruiremo il principio e la fine della strada
Una Chiesa per tutti
E un mestiere per ciascuno.
Ognuno al suo lavoro”.
(T.S. Eliot, Cori da La Rocca)