Scrivere di un poeta, anche se non si conosce personalmente, significa assumere il suo sguardo sulle cose, sulla realtà, sulla vita: io non conosco la professoressa Vincenza Armino (se non come la moglie dell’amico prof. Michele Zito), ma mi è bastato leggere le poesie dei suoi tre volumi (“Pentagramma”, “A piedi nudi, nell’anima” e “Percezioni-Ricordi”) per capire come la dirompente potenza dei suoi versi risiede nella capacità di modificare lo sguardo del lettore… nel riuscire a far sentire e gustare ogni verso nella sua assoluta unicità, componendo le parole, in modo diverso dal nostro abitudinario modo di scrivere, mettendo maggiormente a fuoco il “segreto della vita”, della sua vita in particolare, proprio con delle tematiche che toccano e riflettono profondamente l’animo dell’autrice… la sua coscienza che si fa “parola” di una tensione legata all’espressione della sua vita e nella poesia crea un “qualcosa”, in forma di parole, da consegnare all’Infinito, anzi stavolta è lecito chiamarlo “un silenzio consegnato all’Infinito”