CORPUS DOMINI: MANETTE APERTE SULL’ALTARE
“Sento ancora il profumo che emanava dai tappeti di fiori; appartengono a questi ricordi anche gli ornamenti in tutte le case, le bandiere, i canti. Sento ancora gli strumenti a fiato della banda locale, che in questo giorno osavano talvolta più di quanto potessero; e lo scoppio dei mortaretti con cui i ragazzi esprimevano la loro prorompente gioia di vivere”: così viene ricordata la processione del Corpus Domini nei ricordi infantili di Joseph Ratzinger.
Anche nei nostri paesi, in questi giorni, le processioni del Corpus Domini si snodano nelle nostre vie: nell’avanzare lento del Santissimo sotto un baldacchino, tra i canti sacri, in mezzo alle case della gente, c’è un senso antico e poderoso.
In una sua meditazione Benedetto XVI spiegava come il Concilio di Trento avesse affermato che nel Corpus Domini si celebra “la vittoria di Cristo sulla morte”: ecco cos’era dunque, se pure inconsciamente, la gioia delle processioni dei nostri padri. Nel fondo della coscienza popolare, era il giorno della vittoria sulla morte. Sulla antica nemica. Simile a una marcia di vincitore l’incolonnarsi dei fedeli dietro al prete che tiene alta l’Ostia consacrata.
Poi, scrisse ancora il cardinale Ratzinger, sopraggiunse una “allarmata resistenza a tutto ciò che aveva sapore di trionfalismo, che non sembrava conciliabile con la coscienza cristiana del peccato, e con la tragica situazione del mondo. La celebrazione del Corpus Domini divenne imbarazzante”: rassegnati, siamo diventati educati nichilisti. Nulla in cui credere, e nulla da aspettare, anche se la “certezza” del Corpus Domini è il contrario del nulla, perché il “Corpus Domini” è la festa della luce. Se, smemorati, o distratti, o collusi col nulla, dubitiamo, l’esultanza di quelle processioni ci è incomprensibile.
Talvolta però succede che le processioni del Corpus Domini si trovano a percorrere delle strade che normalmente non sono frequentate da tante persone, anzi sono evitate dai più: sono le strade del dolore, della sofferenza, anche se nascosta… per questo, soprattutto in queste strade, si leva a gran voce l’antico canto: “Per i miseri implora perdono, per i deboli implora pietà”.
Penso che proprio con questo canto nel cuore, obbediente alla settima opera di misericordia corporale (visitare i carcerati), mons. GianCarlo Bregantini, qualche anno addietro, ha voluto che la processione del Corpus Domini avesse come percorso, e tappa di sosta, il carcere di Locri, a testimonianza che il Risorto è il Liberatore che spacca l’opacità del nostro niente… anche se si sta dietro le sbarre.
Nel racconto di Mons. Bregantini si percepisce l’importanza di una Presenza che fa diversa la nostra vita, anche di chi sta in carcere: “Abbiamo variato l’itinerario della processione del Corpus Domini, quest’anno a Locri. Un pò di perplessità iniziale, come sempre, quando si modificano tradizioni decennali. Ma quando passammo davanti al carcere, prima mai visitato da questo momento solenne, i cuori di tutti si aprirono allo stupore. Era stato, infatti, preparato un altarino grazioso, rifinito nei particolari, con dei segni ben scelti, volutamente provocatori: le porte spalancate del carcere, un paio di manette ben aperte sulla bianca tovaglia dell’altare e un grappolo di detenuti semiliberi, che attorniavano l’altare, primizia di tutti gli altri detenuti, lì ristretti … Quelle porte spalancate e quelle manette aperte stavano lì a dirci che una comunità cristiana crede sempre nel futuro, guarda al domani in termini nuovi. Non si rassegna. Non resta inchiodata al passato…
I tre momenti di tempo, scriveva il Papa, sono tutti nelle mani dell’uomo: un passato che può diventare risorsa e non zavorra; un presente da affrontare con coraggio e un futuro da progettare in termini di speranza. Credo che non a caso sia stato collocato questo segno nella grande pagina introduttiva del giubileo, là nella sinagoga di Nazaret, in quel brano di Isaia, letto così solennemente da Gesù, all’inizio del suo ministero: “Lo Spirito del Signore è su di me, per proclamare ai prigionieri la liberazione… per rimettere in libertà gli oppressi”. E del resto, come faccio a chiedere l’indulgenza, se poi mi ritrovo, nei giudizi o nelle scelte, a non concedere l’indulgenza a chi ha sbagliato? E’ vero, resta la pena, il peso del male da altri compiuto. Ma qui, proprio qui, scatta una delle inedite interpretazioni dell’indulgenza, che ha mandato definitivamente in soffitta tante interpretazioni soffuse di vecchiume, ogni volta che, nei libri di storia, si parlava di Martin Lutero. Dice, infatti, la bolla di indizione del giubileo: “S’instaura così tra i fedeli un meraviglioso scambio di beni spirituali, in forza del quale la santità dell’uno giova agli altri ben al di là del danno che il peccato dell’uno ha potuto causare agli altri. Esistono persone che lasciano dietro di sè come un sovrappiù di amore, di sofferenza sopportata, di purezza e di verità, che coinvolge e sostiene gli altri”. E’ come se dicessimo che siamo tutti “collegati in rete”, nel bene e nel male. Io sono collegato a chi è in carcere. Ma anche lui è collegato al mio destino. E se riesco a scalare la montagna, me lo porto dietro, pur se sembra rallentare il mio cammino. Ma sulla cima non ci arriverò da solo, bensì con lui, per goderci insieme quel panorama di bellezza che Dio ha pensato per tutti!”.
Sono sicuro che quella sera, al passare del Santissimo, nel carcere di Locri le luci erano tutte accese e tutti si sono fatti il segno della croce e, ognuno nel proprio cuore, ha ricordato qualche preghiera, forse, da tanto tempo dimenticata: il Corpus Domini si è fermato davanti a quell’altarino preparato davanti alla porta del carcere, come un re vincitore e misericordioso che viene a portare a tutti la riconciliazione ed il perdono.
Senza bisogno di alcuna parola, senza nessun monito, senza nessun giudizio di condanna o di assoluzione, solo attraverso quel semplice gesto un segno di speranza veniva trasmesso ai carcerati: “Il nostro Dio è più forte di ogni vostro peccato e il suo sguardo e la sua compagnia non abbandonano mai nessuno dei suoi figli… soprattutto di quelli che hanno sbagliato!”.