DIALOGO DEL PASSEGGERE CON PIRANDELLO
Passeggere: Non riesco proprio a credere di avere davanti il grande Luigi Pirandello (o il suo personaggio che, se ci pensiamo bene, possiamo dire che è la stessa cosa). Voglio illudermi che questo incontro sia avvenuto realmente, perché la sua vita non si è mai conclusa, non è mai finita, perché è nato come un autore che non ha mai acquistato una indipendenza dal suo personaggio, soprattutto nel significato che “l’Autore” aveva deciso di dare al suo “Personaggio”.
Vista l’occasione che inaspettatamente oggi mi si presenta, penso di non essere il solo che le desidera domandare: “Ma Lei chi è, o chi è voluto essere, realmente nella sua vita?
Pirandello: Io sono realmente come mi vede lei. Ma ciò non toglie, caro Signore mio, che io non sia anche realmente come mi vede sua moglie, i suoi amici e tutti gli altri… Io penso che la vita è una molto triste buffoneria, poiché abbiamo in noi, senza poter sapere né come, né perché, né da chi, la necessità di ingannare di continuo noi stessi… E l’impreveduto che è nella vita? E l’abisso che è nelle nostre anime? Non ci sentiamo guizzar dentro, spesso, pensieri strani, quasi lampi di follia, pensieri inconseguenti, inconfessabili finanche a noi stessi, come sorti davvero da un’anima diversa da quella che normalmente ci riconosciamo?
Passeggere: Illustrissimo Maestro, Lei è riuscito con i suoi scritti a soprapporre sempre la realtà della scena alla realtà della vita, è riuscito a far sì che l’illusione diventasse reale e la realtà una fragile illusione. E’ stato capace di ospitare sul palcoscenico solo l’illusione, per quanto accreditata e seria, di ciò che è la tragica realtà della vita… Non sono il solo che pensa che ha voluto mettere sulla scena dei… fantasmi! Non penso di sbagliare nell’affermare questo…
Pirandello: Lei parla di fantasmi… Caro Signore, non c’è mica bisogno d’andarli a cercare lontano: basta farli uscire da noi stessi. Muoio ogni attimo, io, e rinasco nuovo senza ricordi: vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori… Chi vive, quando vive, non si vede: vive e basta! Se uno può vedere la propria vita è segno che non la vive più, la trascina più che la vive. A noi uomini, nascendo, è toccato un tristo privilegio, quello di sentirci vivere, con la bella illusione che ne risulta: di prendere cioè come realtà fuori di noi questo nostro interno fatto di sentimenti di vita, mutabile e vario, secondo i tempi, i casi e la fortuna. Un personaggio ha una vita sua, mentre un uomo, un uomo così, in genere, può non essere nessuno…
Passeggere: Vi prego Illustrissimo, soddisfatemi ancora qualche altra domanda. Come vostro solito, avete dato ad intendere di essere molto disposto a trattare male gli altri: nei vostri scritti si ha l’impressione che dei sentimenti degli altri vi importi poco. A cosa è dovuto quel vostro continuo biasimare e deridere che fate della specie umana? Spesso nei suoi personaggi emergono solo le ombre, solo i fantasmi di una vita divenuta illusoria e frantumata, dove ogni personaggio si sente schiacciato dalla parte che è costretto a sostenere.
Pirandello: Che vuole che le risponda illustrissimo signore. Le risposte possono essere tante, ma la più veritiera è che abbiamo imparato, a nostre spese, che nel lungo tragitto della vita incontreremo (se non abbiamo già incontrato) tante maschere e pochi volti. E vuole che le dica il perché? Perché “pupi” siamo. Pupo io, pupo lei, pupi tutti… deve sapere che abbiamo tutti come tre corde di orgoglio in testa: la seria, la civile, la pazza. Sopra tutto, dovendo vivere in società, ci serve la civile; per cui sta qua, in mezzo alla fronte… Ma può venire il momento che le acque s’intorbidano. E allora… allora io cerco di girare qua la corda seria, per chiarire, rimettere le cose a posto, dare le mie ragioni. Che se poi non mi riesce in nessun modo, sferro la corda pazza, perdo la vista degli occhi e non so più quello che faccio!
Passeggere: Nelle vostre parole, così come nei vostri scritti, vedo che vi importa poco della vita reale della gente, con quel vostro continuo biasimare e deridere la natura umana, con la coscienza di doverla subire. E’ mai possibile che il vivere possa coincidere con il suo opposto? Che la vita cui ci si aggrappa sia un vano appiglio che si trasforma nella coscienza della sua illusorietà?
Pirandello: Ma si rende conto che è tutto qui il male! Nelle parole! Abbiamo tutti dentro un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre, chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sè, del mondo com’egli l’ha dentro? Crediamo d’intenderci; non c’intendiamo mai! Guardi: la mia pietà, tutta la mia pietà per l’umanità è stata assunta anche da lei come la più feroce delle crudeltà! Poi ci sono le anime che hanno un loro particolar modo d’intendersi, d’entrare in intimità, fino a darsi del tu, mentre le nostre persone sono tuttavia impacciate nel commercio delle parole comuni, nella schiavitù delle esigenze sociali.
Passeggere: Non si può negare come lei sia andato sempre dritto alla radice, di ciò che ha narrato, anche se spesso ha dato l’impressione di voler girare e rigirare le cose, volutamente, per confondere la realtà con una lucida pazzia che sfugge alla normalità ipocrita di chi giudica senza pietà la vita degli altri. E’ possibile vivere così, appoggiandosi solo ad una illusorietà di un contesto civile?
Pirandello: Caro Signore, esser civile, vuol dire proprio questo: “dentro, neri come corvi; fuori, bianchi come colombi; in corpo fiele; in bocca miele. Non ti tracciar vie da seguire, figliuolo mio; né abitudini, né doveri; va’, va’, muoviti sempre; scròllati di tratto in tratto d’addosso ogni incrostatura di concetti; cerca il tuo piacere e non temere il giudizio degli altri e neanche il tuo, che puoi stimar giusto oggi e falso domani”. Tutto questo c’è chi lo comprende e chi non lo comprende, caro Signore. Sta molto peggio chi comprende, perché alla fine si ritrova senza energia e senza volontà. Chi comprende, infatti, dice: “Io non devo far questo, non devo far quest’altro, per non commettere questa o quella bestialità”. Benissimo! Ma a un certo punto si accorge che la vita è tutta una bestialità, e allora dica un pò lei che cosa significa il non averne commessa nessuna: significa per lo meno non aver vissuto, caro Signore.
Passeggere: Non può negare che Lei ha sempre avuto una grande considerazione di sé, e tutt’altra delle persone che la circondavano. Di sicuro le dispiaceva di dover morire, specialmente per poi essere costretto a lasciare la gestione della sua morte a persone incompetenti. Alla sua morte i suoi figli hanno trovato un foglietto con su scritte le sue ultime volontà.
Pirandello: Ha perfettamente ragione Signor mio, ma saprà anche che non tutto è filato liscio e la storia ancora non si può dire conclusa. Avevo stabilito come mie ultime volontà: “Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiera non che di parlarne sui giornali, ma di non farne pur cenno. Né annunzi né partecipazioni Morto, non mi si vesta. Mi s’avvolga; nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun cero acceso. Carro d’infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni, né parenti né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta. Bruciatemi. E il mio corpo, appena arso, sia lasciato disperdere, perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra della campagna di Girgenti, dove nacqui”.
Passeggere: Capisco la sua situazione e la sua delusione: voleva andarsene in silenzio, ma le vicende delle sue ceneri sono degne di una delle sue più belle novelle… ma di questo, se ci sarà l’occasione parleremo un’altra volta. Ora si è fatto tardi. Buonanotte caro Signore, grazie per il tempo che mi ha voluto dedicare…a rivederla!