DOVE STA ANDANDO LA CHIESA…
Ricordo di avere letto, sul finire degli anni Ottanta, che in un suo opuscolo satirico e blasfemo Michele Serra ha scritto una cosa seria, molto più seria di quanto lui stesso poteva pensare: “Non siamo contro il Papa” – ha scritto attaccando il pontificato di Giovanni Paolo II – “Siamo senza“.
A distanza di molti anni da questa affermazione, possiamo ben dire che l’uomo di oggi non è contro, ma senza il cristianesimo; bene o male egli conosce gli insegnamenti del Vangelo, ha una rudimentale cognizione del cattolicesimo, è tempestato di immagini e notizie religiose. Eppure tutto ciò, alla sua vita, non sembra dire più nulla, per questo rimane indifferente. Non per un rifiuto cattivo, cioè libero e cosciente, ma perché non percepisce quale corrispondenza buona possa stabilirsi fra le immagini, le strutture, i discorsi che collega alla “fede” e gli interessi della sua vita.
Una catena di umanissimi e imprevisti incontri: così è nato e così ricomincia sempre il cristianesimo. Una catena in cui il santo e il peccatore possono darsi fisicamente la mano come ci ricorda Charles Péguy: “Chi non è affatto cristiano, chi non capisce niente di cristianesimo, chi gli è veramente estraneo è colui che non è peccatore, letteralmente è colui che non commette alcun peccato. Invece il peccatore, insieme con il santo, entra nel sistema, è del sistema del cristianesimo. Chi non entra in questo sistema, chi non dà la mano è quello che non è affatto cristiano, che non capisce niente di cristianesimo. Il peccatore tende la mano al santo, dà la mano al santo, poiché il santo dà la mano al peccatore. E tutti insieme, l’uno attraverso l’altro, l’uno tirando l’altro, risalgono fino a Gesù, fanno una catena che risale fino a Gesù. Una catena inestricabile di dita. Chi non è cristiano, chi non capisce niente di cristianesimo, in cristianità, in materia di cristianità, è chi non dà la mano. Poco importa cosa ci faccia poi dopo con quella mano. Quand’anche un uomo potesse compiere anche l’azione più alta del mondo senza essere stato immerso nella grazia, quest’uomo sarebbe uno stoico, non un cristiano. E quando un uomo può commettere la più bassa azione del mondo precisamente senza commettere un peccato, quest’uomo non è un cristiano. Il cristiano non si definisce affatto per il livello che raggiunge, ma per la comunione. Non si è affatto cristiani perché si è ad un certo livello, morale, intellettuale, anche spirituale. Si è cristiani perché si appartiene ad una certa razza ascendente, ad una certa razza mistica, ad una certa razza spirituale e carnale, temporale ed eterna, ad un certo sangue“.
La riflessione su questo brano di Péguy ci riporta ad un altro drammatico evento, che sta segnando pesantemente la Chiesa ormai da molti anni: il diffondersi “dell’eresia pelagiana” all’interno di quella che, una volta, fu la cristianità. Fenomeno non nuovo certamente all’epoca moderna, ma con conseguenze devastanti sul popolo cattolico.
Pelagio: cioè la riduzione del cristianesimo a religione della buona volontà. Augusto Del Noce, commentando nel 1986 la Lettera di Giovanni Paolo II sul sedicesimo centenario della conversione di sant’Agostino, descriveva così la riduzione pelagiana: “Al peccato di origine si sostituirebbe un peccato sociale; e la Grazia si aggiungerebbe come “un di più” a un’autosufficienza naturale“. E infatti il termine stesso, Grazia, oggi è quasi scomparso nel linguaggio di convegni, seminari e tavole rotonde promosse da diocesi e associazioni cattoliche. Sostituito dalla parola più in voga nel mondo e nella Chiesa in questi anni: etica. Con la conseguenza di ridurre il cristianesimo al più triste (e vano) dei moralismi. Come tale sempre più ripudiato dalla gente comune, disincantata, e sempre più utilizzato, invece, dal Potere. Paradosso distintivo di questo periodo è una Chiesa sempre meno “presenza” negli ambienti della società: riverita dai grandi della terra (che la vogliono sempre più “conformata” al mondo e al potere), ma ignorata dall’uomo della strada.
Una Chiesa così, si espande in quel “mondo di fantasmi” (il termine è di Henri de Lubac) che è l’odierna società dell’immagine e dello spettacolo, ma si ritira dal mondo reale della vita quotidiana. Il numero dei divorzi non si conta più, così come non basta sapere che l’aborto è sempre la soppressione di una vita umana per non lasciarsi sopraffare dalle circostanze della vita, dal comodo, dal cinismo.
Se il cristianesimo non è questa gratuità (grazia) che irrompe nella vita non solo i richiami morali ma la stessa Parola di Dio è fatalmente destinata a rimanere, per gli uomini d’oggi, lettera morta. E, purtroppo, su tutti i luoghi comuni della mentalità al potere ecco giungere, puntuale, la benedizione etica del mondo cattolico e nessuno sembra accorgersi che la nuova retorica umanistica nasconde solo l’avanzata del deserto: “Fecerunt desertum et appellaverunt pacem”.
Così stanno andando le cose… purtroppo!
Una risposta
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