IL DOLORE E LA MALATTIA FORGIANO IL FISICO E L’ANIMO
E’ già passato più di un anno da quella terribile serata in cui l’amico Umberto Di Stilo è caduto dal tetto della sua casa, dove era salito per cercare di spegnere un principio d’incendio della canna fumaria. Ricordo che in quell’occasione avevo scritto che non c’è articolo più bello e più importante, che poter augurare all’amico Umberto che ritorni presto a casa, che si riprenda e che della sofferenza di quei momenti resti soltanto il brutto ricordo…
Proprio sul dolore e sulla sofferenza che Umberto Di Stilo ha vissuto in questo ultimo anno e sulle domande fondamentali, che accompagnano una persona che, improvvisamente, si sente venire meno in tutto, abbiamo tanto parlato: abbiamo provato a cercare di dare un senso a questa dura prova, a cercare di capire come la drammaticità di quei momenti possano costituire il fondamento di una speranza, anche nel nostro quotidiano soffrire, nella dura prova alla quale il Signore, talvolta, ci sottopone.
Nel raccontare di sè Umberto Di Stilo è riuscito a parlare con chiarezza di una vicenda molto difficile e sofferta, non evitando a cercare di dare anche ragione alle ragioni della fede; infatti, più volte ha affermato si sentirsi non “fortunato” ma “miracolato” e di poter ben affermare, come un famoso filosofo francese “Dio esiste, io l’ho incontrato”.
Nella nostra lunga conversazione abbiamo avuto la possibilità di scoprire, e toccare con mano, come la stoffa del nostro vivere è tutta racchiusa nella domanda, nella ricerca, nel desiderio di scoprire, anche attraverso la malattia, il bisogno di salute e di salvezza che c’è in ognuno di noi.
- Allora, tanto per iniziare questa nostra conversazione, partiamo da un dato di fatto scontato, cioè sicuramente questo Natale, per voi, è diverso dal Natale dell’anno scorso…
Si… diverso certamente, intanto perché non sono più sulla sedia a rotelle e poi perché rispetto allo scorso anno mi trovo sulle spalle un consistente bagaglio di esperienze ospedaliere…
- Possiamo dire un anno in cui, per la prima volta in vita vostra, avete visto la sofferenza proprio da vicino, questa volta non l’avete vista o scritta per gli altri ma l’avete passata proprio sulle vostre spalle…
La mia lunga permanenza in ospedale mi è servita a maturare sotto diversi aspetti. Intanto ho conosciuto veramente e direttamente sulla mia pelle, che cosa è il dolore e l’ho conosciuto soprattutto guardando le sofferenze degli altri. Guardando le sofferenze degli altri mi sono reso conto che le mie erano molto lievi. Ho avuto modo di vedere che ce n’erano molto più grandi, quindi ho capito veramente cos’è il dolore: dolore fisico perché ci sono traumi che lasciano i segni per mesi e mesi… dolori a livello psicologico, tipo la depressione, che ti colpisce allorché prendi consapevolezza che, improvvisamente, in un attimo ti crolla il mondo o, meglio, ti sembra che il mondo ti sia improvvisamente e irrimediabilmente crollato…. Allora entri in un tunnel buio, te ne rendi conto ma non hai la forza di cercare la luce… Io sono caduto dal tetto e quando mi sono reso conto di tutto quello che era successo, in un attimo, in una frazione di secondo, ho pensato che era finito tutto (o poteva finire tutto in un attimo)… In pratica ho preso coscienza della caducità della vita, se vuoi, e quindi mi sono reso conto, veramente, che la vita è niente… è un alito, un soffio di vento. Il rischio concreto della depressione incombente è stato allontanato dall’affetto dei miei cari e dalla costante presenza morale e fisica di mia moglie che è rimasta ininterrottamente al mio fianco nei primi mesi di ospedale.
- A partire da questa ultima considerazione, che la vita è un alito di vento, è cambiato qualcosa in voi, nella vostra vita, nel vostro scrivere, nella vostra molteplice attività culturale…
L’esperienza della sofferenza mi ha portato, intanto, ad apprezzare di più e il valore della famiglia. Sapevo che la mia famiglia, cioè le mie quattro donne, la moglie e le figlie, sono state sempre con me, però in questa circostanza le ho viste ancora più vicine, più attaccate; ho scoperto veramente il valore degli affetti. E poi ho scoperto anche il valore dell’amicizia: mi sono visto contattare da tanti, tantissimi amici… Quando l’anno scorso sono venuto a Galatro nei due giorni di “permesso” in concomitanza con il Natale, con grande piacere ho visto arrivare a casa mia tutti gli amici, tutti i conoscenti e anche persone che non mi sarei mai sognato di vedere. Tutti erano in apprensione per la mia salute, per la mia condizione fisica, per la mia vita. Ho scoperto anche questi aspetti umani, che prima conoscevo, ma forse non apprezzavo al punto giusto… questa è la realtà. Ho capito che, anche quando magari ci si saluta in modo superficiale poi, in fondo in fondo, in ognuno di noi c’è sempre un fondo di bontà e di umanità; un po’ di amore, un po’ di affetto, un po’ di stima. Nei miei confronti credo che ci sia stata una dimostrazione di stima, da parte di amici e di conoscenti, forse anche un po’ immeritata e che, comunque, non mi sarei aspettato e che mi ha commosso. Questa è stata la grande scoperta dei valori umani, sul piano della conoscenza, che mi ha sicuramente migliorato. Se prima i rapporti con tanti paesani e conoscenti erano di un certo livello, magari solo formali, da un anno a questa parte, sono diversi: c’è la stima, c’è l’amicizia cristianamente sentita e in ogni persona che vedo riesco a vedere un fratello; quindi ogni persona, non è più “l’altro”, ma è qualcosa di mio, mi appartiene, poco, ma mi appartiene, e questo credo che sia un valore aggiunto, un valore cristiano che prima forse non valutavo pienamente. Quando poi sono stato dimesso dall’ospedale mi sono visto avvicinare da persone che non mi sarei aspettato. Tra queste c’è stata anche una persona con la quale non ci salutavamo, per motivi stupidi, per incomprensioni di vita, anzi per incomprensioni politiche, per divergenze ideologiche. Ti devo dire che ho apprezzato molto che un giorno, mentre mi trovavo a fare qualche passo lungo la strada aiutandomi con la stampella e reggendomi da mia figlia, questa persona passava in macchina si è fermata e mi ha detto: “Posso salutarvi?” Le ho risposto: “Con piacere!”. Ho tanto apprezzato il suo gesto, e ritengo di aver praticamente operato in modo profondamente cristiano. Ti assicuro che la sofferenza ti matura anche in questo; può darsi pure che la sofferenza ti faccia perdere completamente la Fede. Ma non è il mio caso.
Diciamo che, a un certo punto della vostra vita vi siete trovato fermo, impossibilitato a muovervi… Cosa si prova in quei momenti, non solo per quanto riguarda la vostra famiglia… ma anche nei confronti del vostro lavoro giornalistico e di scrittore, che ha sempre rappresentato una pagina molto importante della vostra vita…
Inizialmente mi sembrava insuperabile, perché il fatto di non poter guidare, di non potermi muovere, distrugge… Poi, mi è venuta incontro l’informatica: mi collegavo con tutto il mondo tramite internet; ricevevo comunicati stampa e notizie varie… la sera potevo vedere e parlare con la famiglia collegandomi con Skipe…. insomma, i moderni mezzi di comunicazione mi hanno consentito di essere costantemente a contatto con la famiglia e con gli amici, a cominciare da te che spesso hai voluto sentirmi, per cui psicologicamente era come se fossi fuori, libero, a Galatro…. nonostante fisicamente fossi in una stanza d’ospedale e non potessi muovermi.
- Da quello che state dicendo, è innegabile che ci sia stato un malessere che ha bloccato, sia psicologicamente che fisicamente, la vostra normale attività di vita. Mentre eravate all’ospedale, quali pensieri vi passavano per la testa pensando al vostro lavoro fermo sulla vostra scrivania…
No guarda… rispetto al valore della vita che tu riscopri, stando nelle condizioni in cui mi sono trovato io, non c’è articolo, non c’è libro che tenga. Io ringraziavo il Padreterno, e non mi stancherò mai di ringraziarlo, perché mi ha lasciato continuare a vivere. Poi sai, un libro in più o uno in meno, un articolo in più o uno in meno non cambia niente, tant’è che, come vedi, ho molto rallentato le collaborazioni di cronaca privilegiando solo articoli per la pagina culturale della Gazzetta… Per occuparsi di cronaca bisogna muoversi… essere in grado di andare a trovare la notizia. Ed io – spero ancora per poco – non sono in grado di farlo.
- Una volta tornato a casa, c’è stata anche una selezione, nello scrivere, nel senso di dare più peso a cose che prima non ne avevano
Si, lo scrivere per me è un piacere; è una vita che lo faccio: è dall’età di 14 anni che pubblico; per me scrivere non è solo comunicare e dare la notizia. Scrivere è anche una questione vitale, io credo che sia come dare un segno di vita. Ecco perché ho ripreso a scrivere ed ho pubblicato il libro sulla Madonna del Carmine, nato da una spinta emotiva che l’ultima domenica di giugno mi ha trasmesso il nostro parroco don Cosimo annunciando che dopo tanti anni sarebbe stata ripristinata la festa del Carmine. Quella stessa mattina ho deciso di scrivere qualcosa sulla chiesa della Madonna del Carmine, sulla nostra chesiola.
Ovviamente le notizie, i documenti storici li avevo già da anni in casa, ma chi legge bene il libro trova qualcosa che va oltre la storia raccontata perché quelle pagine non rappresentano solo il piacere di fare il resoconto di una chiesa di Galatro ma, a guardare bene, c’è qualcosa di più: c’è la radicata devozione verso la Madonna del Carmine; c’è qualcosa di personale… Non so se sono riuscito a rendere anche questo aspetto interiore, però nell’intenzione c’era il desiderio di evidenziare qualcosa di mio, perché sono nato e cresciuto all’ombra del campanile di quella chiesa e sin da piccolo i miei genitori mi hanno trasmesso la devozione verso la nostra monaceja. C’è qualcosa di personale perché alla fin fine, c’è sempre qualcosa di autobiografico in tutti gli scritti!
- Avete detto che è dall’età di 14 anni che scrivete e pubblicate: quale è stata la molla che vi ha spinto ad una così grande e bella produzione letteraria?
Mi chiedi perché scrivo. Intanto per dare sfogo a una necessità interiore, perché scrivendo si soddisfa qualcosa di personale, di intimo. Certo si scrive anche per comunicare agli altri quelli che sono i propri sentimenti, quelle che sono le proprie conoscenze, le proprie idee e le proprie convinzioni. Per questo scrivo e continuerò a scrivere finché avrò vita. Non so con quali risultati, ma continuerò a scrivere. Ho tanti progetti, che non so se riuscirò a realizzare. Quale molla mi ha spinto. Sinceramente non so. Sono passati tanti anni… posso solo dirti che il comunicare, lo scrivere in forma piana e semplice, mi è sempre piaciuto… sin dai tempi del ginnasio, vale a dire sin da quando ho cominciato a scrivere brevi cronache per il Messaggero. Dicevi poco fa, che ci sono tante carte e documenti sul mio tavolo e mi chiedevi se ho qualcosa di pronto per la stampa e se qualcosa sta nascendo adesso. Si c’è qualcosa di pronto e qualche altra alla quale sto lavorando, sia pure saltuariamente.
Certo, mentre prima dell’esperienza del 3 novembre, scrivevo con un certo distacco, adesso, c’è una maggiore consapevolezza. E’ la consapevolezza che la vita è un soffio, un alito. oggi c’è domani non si sa. C’è una maggiore maturazione se vuoi, un po’ dovuta agli anni, un po’ dovuta a questa esperienza negativa della vita; un’esperienza che mi è capitata improvvisamente quando meno me l’aspettavo…
- A volere fare una battuta, possiamo ben dire che non vi è caduta una tegola sulla testa…. siete caduto con la testa sulle tegole!
Esatto: non mi è caduta una tegola, sono caduto sulle tegole! Hai ragione. Il problema è che è capitato quando meno me l’aspettavo…
stavo scrivendo, sono stato chiamato perché era scoppiato l’incendio che stava divorando la mansarda; istintivamente, mi sono precipitato sul tetto. Certo fino a un solo attimo prima non pensavo che potesse succedere proprio a me, però è successo e quindi quell’attimo (se pensi a come è successo e alle terribili conseguenze che poteva avere) quell’episodio, si voglia o no, ti matura dentro, ti fa diventare più riflessivo… perché quando vedi da vicino la morte non solo impari ad apprezzare e amare compiutamente la vita, ma vedi tutto ciò che ti circonda sotto una luce nuova…
- Diceva uno scrittore che “tutto è dove e va dove deve andare, perché è regolato da una sapienza che, grazie a Dio, non è la nostra”… pensate che questa caduta per voi possa essere vista come un segno per poter capire, attraverso la sofferenza, tante cose a cui prima si davo poco conto?
Si, è probabile, anzi è probabilissimo che sia così, credo che a chi capita di vivere sulla propria pelle delle esperienze così negative, dopo apprezza di più tutto, sicuramente darà più importanza alle cose a cui prima non pensava, che non hai mai tenuto o preso in considerazione. Poi, volendo vedere il fatto anche alla luce della fede, mi ritengo, per usare il termine che ha usato il neurochirurgo che mi ha visitato, un “miracolato”. Questa vicenda mi ha fatto maturare ancora di più; mi ha fatto cambiare nei rapporti umani, nei rapporti con la famiglia, mi ha maturato sicuramente in modo positivo.
- Dalla stanza dell’Ospedale dove eravate “recluso”, tanti ricordi, tante immagini care, riaffioravano certamente in modo diverso di quando eravate a Galatro… quale immagine, o quali ricordi vi ritornavano frequentemente in testa, non solo come nostalgico ricordo, ma come un desiderio vibrante di volere ritornare ad “esserci”, qualcosa di cui si sentiva talmente la mancanza da non riuscire a pensare ad altro…
Guarda, intanto ti dico una cosa: proprio qualche giorno fa mi è capitato fra le mani il block notes che mio fratello Camillo mi ha portato all’ospedale perché io facessi esercizi di scrittura, visto che non riuscivo a muovere la mano destra. Ho avuto una grande maestra, mia moglie, che con affetto e tanto amore, mi costringeva a scrivere. Abbiamo cominciato dalle vocali: pagine piene di “a”, di “e”; in pratica siamo tornati alla prima elementare. Poi, piano piano, ho cominciato a scrivere: sempre su consiglio affettuoso di mia moglie ho cominciato a fare la firma e dei semplici pensierini. Qualche giorno dopo, di mia iniziativa, ho cominciato a fare il mio diario quotidiano. Due o tre giorni fa mi è capitato di leggere alcune di quelle pagine scritte nel periodo natalizio. Ho trovato Galatro, la mia infanzia, le mie abitudini, la mia gioventù; ho trovato soprattutto l’essenza spirituale della mia novena di Natale. La clinica è attaccata al Santuario della Madonna della Catena e la mia stanza era molto vicina al campanile. La mattina alle cinque sentivo nitidamente le campane che chiamavano a raccolta i fedeli. Era la messa ante lucem, la messa dell’aurora che caratterizza la novena di Natale. Il sentire quel suono a tanta distanza da casa mia e nelle condizioni fisiche e psicologiche in cui mi trovavo, mi ha fatto rivivere la novena di Natale. Quel ripetuto suono di campane mi svegliava e mi spingeva a rievocare le messe dell’aurora non solo di quando ero giovanissimo e che ho ricostruito nelle pagine del libro “Il mio Natale”, ma anche quelle degli ultimi anni quando ogni mattina, cominciando dal 16 dicembre, saltavo dal letto, mi sciacquavo appena il viso e correvo in chiesa. Ho rivissuto quello che abitualmente ogni anno facevo a Galatro. Se poi aggiungi che mia figlia Nadya, conoscendo le mie vecchie abitudini, mi aveva portato una bottiglietta di succo di frutta piena di anice, il cerchio della mia tradizionale novena si chiude, perché tutte le mattine prima di iniziare la terapia, così come faccio in questo periodo sin da quando avevo i pantaloncini corti, potevo allungare con il profumato liquore il caffè che ritiravo dalla macchinetta distributrice che in ospedale trovavo ad ogni piano e in ogni reparto. E’ superfluo dire che le immagini che mi tornavano sempre in mente, che mi facevano compagnia e che mi davano la spinta a guardare con Fede e fiducia sempre avanti erano quelle dei familiari, della casa, del paese e degli amici.
- Mi par di capire che in quei giorni, in particolare, vi mancava il paese…
Certo. Ti sembrerà strano ma mi mancava il rumore del Metramo che prima dell’alba e quando ancora il paese è ovattato dal silenzio, andando in chiesa per la messa mi è sempre sembrato musica delicata, quasi come una ninna-nanna al Bambino che sta per arrivare. Pensavo a Galatro anche nel tardo pomeriggio quando avevo la sensazione che la messa della novena che ascoltavo in ospedale mancasse dei poetici ed intimi contorni di quella che ho sempre devotamente ascoltato nella nostra chiesa quando il paese era ancora avvolto dai soffusi colori dell’aurora… Stare lontani dalle mura familiari, dagli affetti e dagli amici per diporto, per vacanza non produce abbattimento psicologico, ma stare lontani perché si è in ospedale… ne convieni che è diverso…. Si pensa al paese non solo come entità fisica, come agglomerato di case e insieme di familiari, conoscenti e amici, ma perché il ritorno al paese rappresenta l’ideale ed agognata conclusione di un periodo pieno di incubi, di timori e di preoccupazioni.
- Un pensiero fisso che non vi ha mai abbandonato, in tutto questo periodo che siete stato fuori casa a causa della caduta?
Il pensiero fisso era quello della famiglia e il desiderio – legittimo mi pare – di tornare a casa, di tornare al più presto possibile all’attività quotidiana, a quello che facevo sempre, magari a stare seduto dietro il tavolo dello studio a scrivere, a cancellare, a fare il lavoro che ho sempre fatto; fare come Penelope, di giorno scrivo e di sera distruggo, strappo o, viceversa, di notte scrivo e poi di giorno cancello, distruggo. Questo era il mio pensiero, tornare alla vita comune, tornare agli affetti, tornare all’amicizia… Soprattutto tornare in famiglia!
- A volere tirare fuori l’essenziale di un “calvario” in cui il Signore vi ha messo, duramente, alla prova sotto tanti aspetti, cosa c’è da dire? Vi siete mai domandato il senso di tutta questa sofferenza? Oggi che, piano piano, state ritornando al vostro “lavoro usato” è tutto rimasto come prima…?
Intanto, per come sono oggi, a livello fisico, ringrazio il Padreterno. Il solo fatto che non sono più sulla carrozzella è già tanto! Sicuramente non è tutto come prima perché queste esperienze di dolore, maturano e se sei credente maturi ancora di più. Quella sera dell’incidente ho avuto l’impressione – ma forse è solo un’illusione o forse me lo sono mentalmente costruito dopo… – ho avuto l’impressione, dicevo, che Qualcuno abbia messo le mani per trattenermi. A me è sembrato così. Si, ho avuto l’impressione che qualcosa abbia rallentato il mio volo. E questa impressione si è sempre più rafforzata dopo aver riflettuto su ciò che, dopo avermi fatto la “risonanza”, mi ha detto il neurochirurgo dei Riuniti di Reggio: “So chi è lei, ma non so se è credente, se è credente si ritenga “miracolato”, diversamente solo “fortunato”, perché altri che hanno avuto la sua stessa disavventura e gli stessi danni fisici che ha riportato lei sono rimasti stecchiti per terra; nella migliore delle ipotesi, sono rimasti paraplegici, quindi condannati a vita sulla sedia a rotelle. Lei no, lei ha riportato un’emiparesi destra che con pazienza e tanto lavoro recupererà. Non so dirle in quanto tempo e in che misura recupererà, ma recupererà”. Poi quando mi stavano mettendo sull’ambulanza, si è avvicinato, ha aperto lo sportello e mi ha detto: “E si ricordi una cosa: da oggi in poi cerchi di vedere il suo bicchiere sempre mezzo pieno”. L’ho ringraziato e da allora ho riflettuto molto e continuo ancora a riflettere sulla parola “Miracolato”. Quali particolari meriti avevo per meritare tanto? Il solo termine “miracolato” mi mette ansia, mi fa quasi paura. Certo, pensando a come sono andate le cose, “fortunato” o privilegiato credo di essere stato veramente. Poi, in ospedale, ho visto altre persone che con la mia stessa lesione sono rimaste sulla sedia a rotelle. Io grazie a Dio, sia pure aiutato dalla stampella e sopportando acuti dolori alle gambe, cammino. Il pensiero di essere stato fortunato (o, forse, miracolato), questo sì, mi fa credere che “lassù” Qualcuno mi ama.
- Abbiamo parlato tanto, sono emerse tante cose belle, dalla contentezza che, anche se con la stampella, state camminando, alla bellezza per avere scoperto la vicinanza di tante persone amiche… di fronte a tutta questa bella realtà che avete scoperto, cosa volete dire, per chiudere questa nostra bella conversazione?
Alla luce dell’esperienza che ho vissuto in questo ultimo anno mi sento di poter augurare che, nell’avvicinarsi del Natale, ognuno possa essere vicino alle persone che ama e vivere quello che è il vero messaggio “cristiano” del Natale. Per me il Natale ha sempre rappresentato tanto e, visto alla luce di quello che mi è successo nell’ultimo anno, questo che sta per arrivare rappresenta ancora qualcosa di più intimo e di più bello. Se nel Natale, infatti, ricordiamo la venuta sulla terra di Gesù, io questa venuta l’ho vista veramente. Perché sia che sia stato fortunato sia che debba essere considerato miracolato, Dio esiste ed io l’ho incontrato. Faccio mia l’affermazione del filosofo Andrè Frossard (grande pensatore francese ateo che appena si è convertito ha scritto la sua bella e toccante testimonianza di Fede) perché, alla luce di ciò che è mi è successo sera del 3 novembre dell’anno scorso, molto timidamente anch’io ritengo di poter affermare “Dio esiste. Io l’ho incontrato”. E’ con questa certezza che mi sento di dover ringraziare prima di tutto il Padreterno e la Vergine Santissima e, poi, tutte le persone che nella mia triste avventura mi sono state vicine. A tutti voglio formulare gli auguri più sinceri, perché possano vivere nella salute, nella pace e nella serenità le prossime festività natalizie e, ancora: che tutti i giorni della loro vita siano fecondi di gioia.
Auguri e buon Natale a tutti e grazie per l’affetto che mi avete testimoniato.
Articolo pubblicato nel dicembre del 2011