IN “FIORI DI CAMPO” DI TYANA FASANARO: UN FATTO, UN RICORDO O UNA VISIONE?
Raccontare storie è una proprietà connaturata all’uomo, si potrebbe dire che l’uomo che non racconta storie sta perdendo qualcosa della propria natura, perché il “raccontare” indica un particolare modo di stare al mondo che è proprio dell’uomo: si inventano, ovvero si ricordano, storie tramandando così il senso della permanenza della vita, delle sue figure, delle sue crisi e del suo rinnovarsi. L’uomo che racconta storie inserisce la propria vita dentro un flusso che in qualche modo lo precede e lo supera e, in una certa misura, diventa cosciente che gli avvenimenti della vita sono qualcosa di grande, e i racconti sono un modo per documentare tale grandiosità enigmatica a cui l’esistenza umana appartiene. Questo modo di raccontare che “costringe” il lettore a stare tra le pagine del libro come su una fantastica altalena che porta ad oscillare, senza percepirne nettamente il limite, tra la fantasia e l’autobiografia o tra il ricordo e la visione, l’ho provato nel leggere il libro “Fiori di campo” di Tyana Fasanaro, una brava professionista della moda nata in Calabria, a Laureana di Borrello, che per inseguire il suo sogno si è trasferita a Milano dove ha proseguito i suoi studi e, conseguita la specializzazione in stilista e modellista, oggi si dedica, oltre a fare la moglie e la mamma, alla professione di insegnante presso un famoso Istituto di Moda di Milano.
Nel libro di Tyana Fasanaro emerge come la vita degli uomini non è racchiudibile in un discorso: rispetto a qualsiasi schema letterario o ideologico, c’è sempre qualcosa che sfugge, c’è un qualcosa che va in un’altra direzione rispetto a quanto previsto. In “Fiori di campo” il lettore vede materializzarsi in maniera sorprendente, man mano che scorrono le pagine, uno spaccato della nostra realtà calabrese, in questo caso della Piana in particolare, che ha del fantastico tanto si presentano reali le descrizioni della nostra terra, con il mare che domina su tutte le emozioni che il libro provoca, quel mare nel quale ci immergiamo e, come diceva Eschilo, “ci nutre e sempre rinnova la sua linfa preziosa di porpora infinita”. Non meno emozioni provoca la descrizione della morte della nonna: la notizia che arriva, improvvisa, a più di mille chilometri, i preparativi della partenza, l’arrivo, il funerale e i giorni del lutto. Questo “raccontare” si può fare in molti modi, con una diversità di stili e di linguaggio, ma Tyana Fasanaro riesce a comunicare, non solo a chi nella nostra terra è nato e ci vive, una ricchezza di richiami, di evocazioni, che sollecitano ad una azione di maggiore coinvolgimento di quanto viene raccontato, facendo nascere il desiderio di inoltrarsi in quel richiamo che emerge dal racconto, un racconto che nasce da una visione, o da un ricordo di un fatto, anche minimo, che spinge alla ricerca del vero, del giusto, del bello che si può incontrare, casualmente, anche nelle cose più piccole, come il fiore di campo che dà il titolo al libro: “Mi piacciono i fiori di campo!… quelli che nascono selvaggi e spontanei ai bordi delle strade, che non hanno un nome conosciuto, che crescono comunque nascosti all’ombra dei marciapiedi”.
L’argomento centrale del libro, il tema fondamentale di tutto il romanzo, è l’avventurosa storia, di desiderio ed eros più che d’amore, tra Pietro e Vittoria, una storia di “amore” che non diventa mai veramente tale perché nonostante i loro “desideri”, non arriva mai, per loro, il momento che determina una svolta, una promessa, un impegno che non si può eludere: si sono “trovati” a camminare su una strada che non permette loro di andare incontro ad un destino buono, anche se le prime parole del libro possono fare pensare diversamente: “Quando un uomo e una donna, per troppo tempo distanti, hanno finalmente la possibilità di ritrovarsi, di risentirsi, di trattenersi un po’, si tratta della mano di Dio che riesce a sfiorare entrambi nella stessa carezza, a piegare le dita fino a creare un ponte”. D’altronde la realtà nella quale siamo cresciuti, e tuttora siamo immersi, ha sempre riso dei riti e dei segni cristiani, così come di tutti i valori fondamentali comuni ad ogni uomo, creando l’illusione che tutto può essere scomposto e ricomposto a piacimento: come accade nel rapporto tra Pietro e Vittoria dove, nonostante i grandi desideri di “incontro”, alla fine si ritrovano senza il coraggio, e la voglia, di vivere appieno il legame affettivo che “potrebbe” coinvolgere il destino di entrambi. Proprio per questo, ciò che hanno sentito e visto crescere fra di loro, senza avere il coraggio di dirselo, non si può definire altrimenti che come una “sofferenza”. Soprattutto per lei, perché Vittoria si è lasciata trascinare in una relazione complicata, come se fosse un assoluto, anche se mancavano tutte le condizioni dell’assoluto, inseguendo la propria illusione, accecata dalla forza del “sentimento senza amore”, perché a loro la vita sembrava essere troppo corta per poter tenere in considerazione l’amore duraturo e vero. E, forse, sembrava anche troppo superficiale.
“Non esiste nulla che più dell’amore sia sconosciuto e misterioso. Divergenza tra quello che si trova sulla superficie e quello che è il mistero dell’amore ecco la fonte del dramma. Questo è uno dei grandi drammi dell’esistenza umana”: in questo pensiero di Karol Wojtyla si può rinvenire il segno della condizione drammatica di Pietro e Vittoria in relazione al loro rapporto “senza amore”. La parola “destino” nella loro storia è assente e, per questo, la parola “amore” viene censurata. La confusione su questo fatto è il segno più evidente che qualcosa di grave è accaduto nel loro passato… là ci sarà stato qualcosa di sbagliato che oggi li vede divisi, e anche quando sono insieme e non si domandano cosa vogliono “veramente” dalla loro vita e, soprattutto, se il loro rapporto è solo un problema da risolvere o, anche, un mistero da decifrare?
Mi piace immaginare cosa succederebbe se i protagonisti di “Fiori di campo” potessero stare seduti accanto a me, anche per poco tempo, disposti a conversare sulle mie considerazioni, in un immaginario dialogo in cui, improvvisamente, vengono tirate fuori le cose che si sono portati dentro per anni e di cui sentono ancora il bisogno. Che ci dicano se la loro storia è finita o ci potrà essere ancora un futuro, perché il racconto lascia tutto questo sospeso. Non è difficile da immaginare questo “incontro” con Pietro e Vittoria che raccontano, la vera intensità della loro storia e in cosa si sentono ancora legati. Li voglio immaginare mentre parlano del periodo bello del loro rapporto e, alla fine, quasi confidenzialmente, facciano capire a me, e a tutti coloro che hanno letto il libro, magari anche con un’ombra di nostalgia, che dal loro rapporto vogliono di più, che vogliono quell’amore che risveglia, in ogni uomo e in ogni donna, un desiderio insaziabile e infinito… di infinito amore.
Riconosco che le mie sono considerazioni ardite, molto ardite, ma vogliono lasciare una speranza, la speranza che questa storia possa continuare nel filo indecifrabile e imponderabile e secondo finalità ignote all’uomo, che contribuiscono a dirigere la vita verso un destino buono, con l’imprevedibile e sottile volontà di Dio, che alla fine conduce a buon fine anche le situazioni più dolorose e apparentemente negative.
Carissimo, averla conosciuta non è ritenuto un caso! E, molto serenamente mi ricollego all’essenza dell’incipit del mio romanzo: l’unico, primo passo in cui comprare la parola “Dio“, come premessa assoluta del fatto che, qualunque dono ci venga offerto dalla vita, fra i più’ preziosi quello appunto delle relazioni umane, è bello e rassicurante pensare che ci sia Qualcuno che se ne sia occupato per noi.
Nello scorrere delle pagine successive di “Fiori di campo”, Vi subentra la parola Luce, protagonista nelle scene, con veste talvolta più accecante, altre volte più fievole, inserita nel contesto proprio dei luoghi e non solo paesaggi già cari, a cui rimanda il suo sorprendente articolo. Consapevoli tutti noi quindi, che l’amore vero sappia uscire da se stesso, mettere radici grazie al desiderio condiviso di “costruire” con una forma e un andamento costanti, e sia in grado di calarsi in totale libertà, senza limiti a profondità maggiori.
In “Fiori di campo” il sentimento descritto si colora invece di sfumature, di emozioni forti e apparentemente altrettanto appaganti, tuttavia fragili se accentuate dalla distanza temporale e non solo, da questa mancanza di una meta definita all’inizio di un viaggio che pare avere tutti i requisiti per concludersi per i protagonisti nel più tradizionale dei modi. Perciò grazie davvero per avere fatto emergere più di chiunque altro, questa nota dominante che ho cercato di non lasciare mai durante la scrittura, seppure riconosco offuscata, e movimentata dalle contraddizioni che ho voluto far risaltare, che non vogliono essere un attributo negativo se non “umano”. Poiché è meno scontato e più ardito scrivere di malinconie e muri emotivi, che raccontare del giusto e del lieto fine. E questi sono punti che con un linguaggio letterario encomiabile, e rispettoso della mia sensibilità, quasi come un padre, ha saputo cogliere e trasferire profondamente.
Gliene sono grata! Tyana Fasanaro
Ringrazio Tyana Fasanaro per questo suo intervento sul mio articolo che pubblico volentieri come un degno completamento di quanto ho scritto.