PREFAZIONE A “INFINITESIMI PLANETARI” DI ROCCO GIUSEPPE TASSONE
E’ difficile fare un percorso, per quanto piccolo esso sia nella prefazione di un libro, seguendo le tracce della poesia di Rocco Giuseppe Tassone, per cercare di andare in fondo alla sua umanità e fare con lui un lungo viaggio nella trasformazione dei diversi luoghi, da lui vissuti e subiti, e della sua stessa vita.
Nella sua ultima opera “Infinitesimi Planetari” in Tassone il costante riferimento alle “domande ultime” dell’esistenza, diviene lo spazio di un dramma supremo: quello del pensiero della morte che accompagna ciascuno di noi, man mano che passano gli anni, e da qui nasce la profondissima inquietudine che si percepisce in ogni poesia di questa raccolta: “La valigia della mia anima/ è pronta/ per il suo incognito viaggio/ Nell’infinito silenzio!”; oppure nei versi che danno il titolo al libro, Infinitesimi Planetari: “E quando quel giorno verrà/ora che il mio tempo/ è più nel passato che nel futuro,/ voglio andarmene silenziosamente solo/ né un pianto, né una lacrima/ manco un vago pensiero,/ nella certezza che tutto è finito,/ mentre l’universo continuerà a vagare/ nel tempo e per il tempo dell’eternità,/ appagato d’essere stato per un istante/ un insignificante granello/ degli infinitesimi planetari”.
Forse al Tassone non piacerà sentirselo dire, ma questa sua ultima opera dice che tutta l’intelligenza di cui è dotato, la fama e i riconoscimenti avuti, non gli impediscono di sentirsi solo, e da qui la profondissima inquietudine che lo fa essere realista e acuto sulle dinamiche, e sulle esperienze, fondamentali dell’esistenza.
Tassone apre il suo cuore, senza nessuna remora, e scrive che anche la poesia non basta a non sentirsi solo, e anche il sognare è crudele: “Com’è crudele sognare/ quando è impossibile vivere!/ Lasciare che il mondo ti scivoli addosso/ senza partecipare al viaggio e/ restare lì, osservando i binari arrugginiti/ vagare col pensiero tra mille fiabe/ dove rospi diventano principi/ e fate animare pezzi di legno./ Cosa racconterò ai miei figli?/ Trincee di guerre o siepi in amore?/ Già, dimenticavo che non ho prole,/ nessuno a cui tramandare i miei sogni:/ com’è crudele sognare/ quando è impossibile vivere!”.
Addentrarsi nelle poesie del Tassone significa avere la possibilità di incontrare delle pagine che rimandano, costantemente, all’avventura della vicenda umana di un uomo che, con la trama della sua vita, lascia aperto un inquietante interrogativo sul tormento quotidiano nella ricerca di “qualcos’altro”, per cercare di dare un senso e un significato ai giorni che passano, forse nutrendo anche paura per i propri sentimenti, senza avere timore di confessarlo… anzi, rimarcando quella solitudine, che lo porta proprio a interrogarsi sul valore e sul significato dell’esistenza. E la risposta si sofferma sul carattere dei veri avvenimenti della vita, della sua vita, che indicano il trascorrere del tempo, spesso ripetitivi e sempre uguali, il più delle volte, senza speranza… che si caricano di un significato simbolico che rimanda all’impenetrabilità dei grandi dubbi esistenziali: “Vorrei partire per un viaggio lontano/ dimenticare d’essere, dimenticare di vivere!/ Prendere un treno senza fermate e/ correre correre fin dove possa scordare/ l’odore della zagara … Vorrei partire per un viaggio lontano,/ senza meta, senza emozioni,/ dimenticare d’essere, dimenticare di vivere!”.
Sono versi forti e anche tremendi, però come sono veri! In fondo quante volte viviamo la tragica condizione di non attendere più nulla, vedere tutto come scontato e lasciarsi andare al solito tran-tran dell’insoddisfazione quotidiana del vivere… e questa è una esperienza che, se ci pensiamo bene, la facciamo tutti, non solo i poeti.
In questa “dimenticanza di vivere” il Tassone però, non riesce a non “ricordare” qualche cosa di straordinario proprio quando riprende i temi dell’attesa, dell’amore (l’amore e la morte), l’illusione, la speranza, gli incontri… e facendo questo ritorna al senso di una vita piena, ricercato, desiderato, sperato, nonostante tutto, nel quale intravede la “libertà”: “Io non ho interesse/ a possedere il mondo,/ il mio unico interesse/ è poterlo liberamente vivere!”.
Proprio questo interesse a “vivere il mondo”, espresso in questa ultima opera, ci porta a dire che con “Infinitesimi Planetari” più che davanti ad un’opera letteraria, siamo davanti ad un fatto antropologico: non ci sono nomi altisonanti e fuori luogo, tanto meno giochetti colti o passatempi sentimentali.
Siamo davanti ad un lavoro appassionante, duro, che ci porta a condividere un destino, il destino dell’Autore, e proprio a questo livello di profondità, che la poesia diviene la consegna della sua vita, della sua domanda, della sua sofferenza, del suo limite… a quell’Infinito che brucia, che il poeta riesce a trasformare in parole e viene ascoltato dagli spiriti più attenti e sensibili.
Se con i versi di Tassone accade questo, allora le immagini trasmesse con le sue poesie si accompagnano alle luci e alle ombre, alla memoria e alla dimenticanza… e si rimane in silenzio, un Silenzio che racchiude il “patimento” di un volontario destino che l’Autore consegna all’Infinito, trasformandolo in un ampio respiro che viene reso visibile nei suoi versi.