LA COSA PIU’ STRAORDINARIA DEI MIRACOLI E’ CHE ACCADONO (Chesterton)
Qualche settimana addietro, mi è capitato di assistere ad una discussione sui “miracoli”. Inutile dire lo scetticismo e l’ironia di molti dei presenti. Tornando a casa ho rinvenuto tra le mie carte, degli appunti di un mio intervento, proprio sui miracoli, voluto da don Cosimo Furfaro nel luglio del 2006, in occasione della ricorrenza del 50° anniversario dell’Incoronazione della Madonna della Montagna e del 150° della Fondazione della Parrocchia, e inserito nell’ambito degli incontri per l’Anno Mariano galatrese.
Ricordo che ho esordito dicendo come il binomio Miracolo-Maria è inscindibile, citando il XXXIII canto del Paradiso di Dante, dove San Bernardo innalza il suo inno di lode alla Vergine, esaltandola come la più alta tra le creature: “Donna, se’ tanto grande e tanto vali, / che qual vol grazia e a te non ricorre / sua disianza vuol volar senz’ali”.
In una delle sue eccellenti battute, il grande Gilbert K. Chesterton disse: “Un credente è un signore che accetta il miracolo, se ve lo obbliga l’evidenza. Un non credente è, invece, un signore che non accetterà neppure di discutere di miracoli, perché a questo lo obbliga la dottrina che professa e che non può smentire”.
Ogni “incredulo” sarà sempre prigioniero delle sue gabbie ideologiche, del bisogno, per lui vitale, di negare, dell’ansia di trovare comunque “spiegazioni razionali” che lo tranquillizzino: che cosa avverrebbe, in effetti, di quello schema di Ragione (con la R maiuscola!), se fosse costretto ad ammettere “qualcosa” che mette in crisi tutto quello schema? Dovrebbe riconoscere di avere sbagliato tutto e di essere costretto ad aprirsi ad una dimensione che sino ad allora aveva radicalmente scartato e con Pascal ammettere che “l’ultimo passo della ragione è riconoscere che vi sono una infinità di cose che la sorpassano…”.
Ma a questo punto, proprio per entrare nell’essenza di ciò che stiamo dicendo non possiamo non domandarci non solo “cos’è”, ma anche “perché” il miracolo? Pensare che questo fenomeno che ha accompagnato tutta la storia della salvezza e continua ad accompagnare, oggi, la vita della Chiesa, è una “manifestazione dello Spirito” e non qualcosa lasciato al nostro gusto, o in potere della critica di accettare o meno. Fa parte di un atteggiamento di fede che non è, s’intende, il credere a tutto ciò che viene spacciato per miracolo, ma almeno ammettere la possibilità e anche l’esistenza di miracoli autentici, anche perché la prerogativa di fare miracoli è tra le più attestate nella vita di Gesù.
Gli Atti degli apostoli descrivono Gesù come “un uomo accreditato da Dio per mezzo di miracoli, prodigi e segni” e Gesù stesso presenta i miracoli da lui operati come prova della sua messianicità: “I ciechi vedono, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti sono risuscitati”. Non si può eliminare il miracolo dalla vita di Gesù, senza smagliare tutta la trama del Vangelo.
Diceva don Luigi Giussani che “non possiamo non mettere in evidenza come, anche se molti storcono il naso per una pregiudiziale ostilità all’irrompere del soprannaturale che a Fatima la gloria della Madonna è esplosa davanti a settantamila pellegrini… Tutti i giornali erano liberali e anticlericali e tutti hanno mandato là i loro corrispondenti che avevano fatto articoli deridenti sulla predizione dei tre bambini: “Vediamo questo miracolo che deve venire!”, dicevano con ironia. Ma ad un certo punto anche costoro furono atterrati dall’inusitato comportamento del sole: settantamila persone che gridavano, perché il sole sembrava cadere sopra di loro. E in quell’istante tutta la Cova de Ira, con la vallata, con le montagne, costituivano uno splendore della realtà, un pezzo di splendore della realtà, per la gloria di Cristo che il miracolo assicurava. Il miracolo del sole assicurava la gloria di Cristo, così che l’esito era uno splendore dell’umano: tre bambini che avevano più ragione di tutta la stampa! E tutta la stampa il giorno dopo ha dovuto ammetterlo. Metà della Nazione investita dall’evidenza di una presenza! E lo splendore della realtà era sostenuto e reso possibile dalla gloria di un miracolo”.
Miracoli dunque, “spirituali”, innanzitutto di conversione, di carità, di rinuncia, di perdono… e Miracoli “fisici” anche, inspiegabili scientificamente, soprattutto di guarigione, simili a quelli compiuti da Gesù e dagli apostoli, spesso ottenuti, nel misterioso disegno celeste, per intercessione della Vergine Maria o di quei santi di cui, secondo la tradizione della Chiesa, Maria è Regina. Anche oggi, noi qui, riuniti in una chiesa di un piccolo paese di poche migliaia di anime, non possiamo non rimanere stupiti: è tutto come duemila anni fa. Il cristianesimo accade così nel silenzio della vita quotidiana e poi capovolge la storia, incendia i cuori e illumina il mondo. Anche al tempo di Augusto, in quella primavera dell’anno 747, a Roma, capitale dell’Impero, nessuno avrebbe mai degnato di attenzione una fanciulla ebrea di 16 anni che in un borgo oscuro della Galilea, Nazareth, aveva ricevuto una visita misteriosa e aveva coraggiosamente detto “sì” ad una “maternità impossibile”.
Quella ragazzina silenziosa, Maria, era considerata nulla, come tutte le donne a quel tempo. Eppure per secoli lei sarebbe stata detta “beata”, per millenni sarebbe stata acclamata come “Regina”, amata come nessuna mai, rappresentata e cantata da centinaia di artisti, invocata da oceani di infelici come il loro dolce soccorso, chiamata da poveracci e re. In quella piccola ragazza si è compiuto il miracolo più grande che potesse accadere, il più sconvolgente ed il più inspiegabile, per dirla ancora con San Bernardo, nel XXXIII canto del Paradiso:
“Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura”.
A noi, di fronte a questo resta lo stupore: lo stupore e la bellezza dell’adesione totale alla volontà di Dio.