LA MADONNA DEL CARMINE A GALATRO
IL CULTO DELLA MADONNA DEL CARMINE NEL NUOVO LIBRO DI UMBERTO DI STILO
“Dicevo che vi racconto la chiesa del Carmine. L’idea di farlo, è maturata circa un mese addietro, quando, dal nostro Parroco, ho saputo che quest’anno per iniziativa di un gruppo di devoti, sarebbe tornata la festa civile in onore di Maria Santissima del Monte Carmelo. E mi sono riproposto di scrivere un racconto che, pur nel rigoroso rispetto della storia, abbandonasse i classici canoni della storiografia per seguire la narrazione di fatti ed eventi con l’unico intento di portare a conoscenza dei fedeli locali, ma in forma semplice e chiara, le notizie più importanti riguardanti la nostra “chiesiola”.
Con queste parole il prof. Umberto Di Stilo presenta “ai suoi compaesani” la sua ultima opera “Il culto della Madonna del Carmine a Galatro”: un titolo che conduce direttamente al cuore del contenuto del volume, edito dallo stesso Autore, e che in poco più di cento pagine ricostruisce la storia della diffusione del culto per la Vergine del Carmelo “culto che a Galatro molto probabilmente, era stato portato dagli ultimi monaci bizantini e che, successivamente, si era materializzato mediante la costruzione della chiesa per una personale devozione del sacerdote don Antonio Galati… poi, così come tutte le altre chiese del paese, anche quella del Carmine è andata completamente distrutta dal terremoto del 05 febbraio 1783. E così come la parrocchiale e la “filiale” (poi divenuta seconda parrocchia) anche la chiesa dedicata alla Madonna dello scapolare, finito lo sciame sismico e pensando al futuro, rinacque a nuova vita; fu ricostruita. Ma in un altro sito e per desiderio di un sacerdote-devoto: Domenico Manduci”.
Quest’ultima fatica letteraria del prof. Umberto Di Stilo si presenta come un nuovo attestato del suo costante interesse alla storia, non solo religiosa, della nostra Galatro: con questo libro aggiunge un altro anello alla catena di studi e ricerche che, negli anni passati, lo ha visto impegnato alla ri-scoperta e valorizzazione di quel grande patrimonio artistico, religioso e culturale presente a Galatro; ci aiuta ulteriormente a conoscere meglio le radici della gloriosa tradizione legata alla devozione verso la Madonna del Carmine che, nei secoli, è stata capace di realizzare e tramandare opere di civiltà, fede religiosa, arte e bellezza. Addentrarsi nelle pagine del libro significa intraprendere un viaggio nel nostro passato per conoscere una ricca e profonda pagina di fede e di devozione mariana, una storia che vede la comunità di Galatro protagonista di eventi significativi; infatti, tra le righe, emerge non solo una forte devozione verso la Vergine del Carmelo, ma anche la grande passione di tante persone per costruire la chiesa, anzi combattere per ottenerla e portarla a termine, con il desiderio di tramandare ai posteri una devozione importante che non poteva andare perduta.
Sono rimasto particolarmente colpito in alcuni passaggi significativi del libro (di cui penso di non essere il solo a non avere mai saputo niente), dove vengono esposti con precisione e minuziosità l’origine della Chiesa e della Confraternita della Madonna del Carmine, i vari spostamenti della chiesa e le difficoltà a tenerla aperta al culto dei fedeli: “A Galatro una Chiesa dedicata alla Madonna del Carmine esisteva già nel XVI secolo… la chiesa più bella e più frequentata, sulla sponda sinistra del Fermano fu edificata la Chiesa della Madonna del Carmine. Volendo localizzare quella originaria chiesa bisogna dire che era poco distante dal vecchio mulino che, pur essendo passato nel corso dei secoli da un proprietario all’altro, proprio per la sua vicinanza alla chiesa omonima, ancora oggi è conosciuto come “il mulino del Carmine” … erano trascorsi 17 anni dal grande flagello. I galatresi facendo ricorso a tutte le loro più riposte energie e, soprattutto, alle loro scarse economie, faticosamente ma con l’orgoglio di chi fa tutto da sé, hanno fatto rinascere il paese… Il sacerdote don Domenico Manduci che negli anni difficili della ricostruzione aveva animato la chiesa-baracca del Carmine, che aveva vinto le ostilità del parroco Garuffi e che era stato anche apprezzato economo della chiesa filiale di San Nicola (nel 1794) decise di lasciare qualcosa di duraturo non solo ai fedeli del quartiere la Madonna ed ai compaesani del rione nel quale anche lui era andato ad abitare e che per la presenza della chiesa prese il suo nome, ma a tutti i galatresi. Decise di finanziare, come suo ex voto ma anche come sua ultima opera di carità, la costruzione di una chiesa che inizialmente volle fosse dedicata alla SS. Trinità e nome di Gesù e che in seguito, già nel corso dei lavori, è stato deciso di dedicarla alla Madonna del Carmine. Così, il 20 settembre del 1800, quando le sue condizioni di salute erano diventate già abbastanza precarie, don Domenico Manduci ha convocato nella sua casa del rione Madonna il notaio ed ha fatto la seguente disposizione testamentaria: … “il danaro applicarlo alla fabbrica di una chiesa sotto il titolo della SS. Trinità e nome di Gesù, e propriamente nel luogo dove si trovava la baracca nel luogo detto Sergio superiore…” … I lavori di costruzione si protassero per cinque anni e nel 1806 la chiesa fu consacrata ed aperta al culto. … Quando la nuova chiesa fu consacrata ed aperta al culto dei fedeli, pur nelle sue ridotte dimensioni, apparve a tutti come una piccola cattedrale. Tant’è vero che nel 1820, quando Giovanni Conia, nella sua veste di Vicario foraneo del Vicariato di Galatro e di parroco di Laureana, fu delegato dal Vescovo ad effettuare la visita pastorale, scrisse che “le chiese di Galatro sono spelonche… Questa è la sola rifinita di tutto punto: di pavimento, di soffitto, stucco, ed anche di pittura… E’ la più bella di tutte e la pietà dei fedeli la mantiene con tutto decoro”.
Il prof. Di Stilo, con la sua meticolosa ricostruzione della storia passata e recente della Chiesa del Carmine, permette ai galatresi di rileggere il vissuto della nostra comunità, di coglierne elementi di continuità così come elementi di “rottura”: dalla sua ricerca, insomma, emerge una bella testimonianza, anche di situazioni di particolare “conflittualità” tra fedeli e clero, ma legate da un unico filo conduttore che lega i fatti alle persone, facendo riaffiorare alla memoria tante piccole cronache e volti cari a tutto il nostro paese.
E se ci sono degli interrogativi sull’origine della Statua della Madonna, in quanto non si dispone di elementi per stabilire, con certezza, la bottega dalla quale nei primi anni del XIX secolo è uscita la statua e neppure chi ne sia stato il suo autore, non si può non costatare come “la statua, insomma, è tutta un messaggio di amore e di bontà e, per le sue peculiarità artistiche, è sicuramente una delle scultura sacre più espressive di tutta la dotazione statuaria galatrese perché, nel muto linguaggio dell’arte, riesce a comunicare una profonda interiore bellezza e a trasmettere dolci e teneri sentimenti materni”.
Dalla lettura del libro scopriamo che “la Chiesa del Carmine recentemente è stata dichiarata “bene di interesse storico e artistico” e, come tale, “sottoposto a tutte le disposizioni di tutela”. Così come mi ha fatto piacere leggere (e si può ben capire il perché!) che “nel 1937, l’arciprete Marazzita, che già da tempo aveva notato che le condizioni della chiesa lasciavano molto a desiderare, grazie al contributo dei fedeli ha potuto provvedere a rifare l’interno… e per tutti i lavori si affidò all’estro artistico di un giovane muratore locale: mastro Peppino Scozzarra, del quale in paese si diceva un gran bene. E il giovane artigiano non deluse le aspettative, anzi, confermò le voci di quanti assicuravano che più che artigiano Scozzarra era un artista e che come muratore aveva superato anche il padre… A testimoniare la raffinata creatività artistica di mastro Peppino Scozzarra, resta la balaustra. Una piccola opera d’arte. Soprattutto se si considera che è stata realizzata tutta, pezzo dopo pezzo, nella stessa chiesa e senza mai poter ricorrere all’aiuto di macchine”.
C’è anche da dire che una “curiosità”, messa in luce dal prof. Di Stilo, mi ha fatto riflettere parecchio, anzi “una curiosità che sottintende una domanda. Si, una domanda: dov’è andato a finire il lampadario a venti luci che era stato regalato alla chiesa e che si è subito volatilizzato? Ebbene, si. Verso la fine degli anni ottanta, Mastro Nino Riniti, con la collaborazione dei giovani che lavoravano nella sua “forgia”, ha realizzato in ferro battuto un artistico lampadario a venti luci su disegno ideato da Mastro Carmelo Macrì. Per la realizzazione del manufatto Riniti e i suoi ragazzi hanno lavorato diversi giorni, dopo di che l’artistico lampadario (‘a limpia, come veniva definito nella parlata popolare ogni lampadario destinato e usato nella chiesa) come ex voto è stato consegnato al parroco Don Agostino Giovinazzo che non provvide a sistemarlo perché stavano per avere inizio alcuni lavori di manutenzione ordinaria della chiesa. A lavori ultimati del lampadario in ferro battuto, non si è trovata neppure l’ombra. Scomparso. Con grande disappunto dei fedeli che lo avevano già visto e che avevano ammirato la sua artistica lavorazione, ma, soprattutto, col legittimo disappunto di quanti avevano collaborato alla sua realizzazione”.
Il libro finisce con il racconto (La pentola non bolliva) di un fatto prodigioso accaduto al compianto Gregorio Sorrentino, quando questi era prigioniero in Africa, in tempo di guerra: l’avvenimento di un prodigio, di una immaginetta della Madonna del Carmine che teneva nella tasca dei pantaloni e che, da quel momento, non se ne è più distaccato e l’ha tenuta come una reliquia miracolosa.
Nel libro, in segno di gratitudine e ricordo, non sono tralasciati i nomi dei promotori “storici” dei festeggiamenti civili in onore della Madonna del Carmine: Carmelo Marazzita, Rocco Congiustì, Vincenzo Martino, Fortunato Mandaglio, Ferdinando Ocello, Ferdinando Ocello junor, Bruno Distilo, Nicola Scoleri, Carmelo Biagio Distilo, Michele Lauro, Gregorio Riniti, Luigino Scozzarra, Gregorio Sorrentino; per, poi, descrivere i vari momenti della devozione alla Vergine del Carmine, che passano attraverso la festa, la processione, il catafalco, i mercoledì, la novena, la giornata di preghiera e digiuno in chiesa, lo scapolare… già lo scapolare o, come lo chiamiamo noi, l’abitino… quell’abitino che da inizio al libro del prof. Umberto, dove racconta che “una signora, devota della Madonna del Monte Carmelo, avendo saputo dal figlio, mio amico, che da tempo ho pronto per la stampa un volume sulla storia della chiesa e della parrocchia della Madonna della Montagna, mi ha chiesto: E da’ Madonna e da’ chesia nostra no’ scriviti nenti? “Madonna e chesia nostra”: non è stato necessario specificare a quale Madonna e a quale chiesa facesse riferimento. C’era il possessivo “nostra” che era più eloquente di ogni altra precisazione. Almeno per me che, come la mia gentile interlocutrice, sono nato e cresciuto in una abitazione assai vicina alla chiesa del Carmine.
Praticamente all’ombra di quel piccolo ma caratteristico e, almeno per noi galatresi del quartiere “La Madonna”, sicuramente unico campanile. La stessa signora credo sia l’ultima devota che ogni anno, per amici e conoscenti che glielo chiedono, confeziona lo scapolare, l’abitinu, come ancora oggi preferiamo definirlo comunemente. Già. Abitinu quasi sicuramente perché chi lo indossa con fede, acquisisce un abitus speciale; una corazza protettiva che preserva dal fuoco dell’inferno. Anche per questo nell’iconografia più comune ai piedi della Madonna del Carmine, tra alte lingue di fuoco, si notano tante anime pronte a prendere lo scapolare che la Madonna e il suo Divin Figliuolo tengono in mano. E’ lo scapolare che salva dal fuoco eterno, e quelle anime sono desiderose di essere salvate. L’abitinu, la Signora di cui parlo, lo ha confezionato anche a me e, lo ha impreziosito con il ricamo in seta bianca del monogramma che da sempre ci richiama Maria”.
E, su questo argomento, penso sia, da parte mia, necessario soffermarmi un attimo sulla “Signora” dell’abitino, che conosco molto bene e per questo posso ben testimoniare che la “Signora” ha avuto sempre un legame particolare, una predilezione particolare verso la Madonna del Carmine e la sua chiesetta: ricordo che da bambini, io e mio fratello avevamo sempre attaccato alla spallina della canottiera l’abitino della Madonna del Carmine, preparato con cura e devozione da parte della “Signora” proprio come un affidamento dei suoi figli alla Vergine del Carmelo, per vivere sotto il suo sguardo e la sua protezione. Oggi, a distanza di anni, nel rivedere qualcuno di quegli abitini sgualciti dal tempo, che ancora gelosamente conservo tra le mie cose più care, si riempie il cuore di meraviglia e stupore, con la tenerezza di tutta una attenzione verso una storia che non mi ha mai allontanato dalla “nostra” Madonna.
E, per finire, nel ringraziare Umberto Di Stilo per averci fatto rivivere, con rinnovato spirito ecclesiale, la storia e le modalità espresse dai galatresi nella devozione alla Madonna del Carmine, nel far mio il suo augurio espresso nella prefazione del libro “Spero, infine, che questo mio scritto, soprattutto nei giovani, possa suscitare interesse per la secolare tradizione religiosa e laica del nostro paese e che ravvivi in tutti d la devozione per la Vergine del Carmine”, non posso tralasciare di mettere in evidenza due cose.
La dedica del libro, che non poteva una intenzione più vera e significativa, dei veri affetti che non si cancellano per tutta la vita: “Alla mia cara Carmela, familiarmente Memè, che da quasi mezzo secolo è il giardino fiorito della mia vita e alla memoria di mio fratello e di mio zio Mastro Carmelo Distilo che oltre al nome avevano in comune la nascita nel quartiere della Madonna e la devozione alla Vergine del Carmine”.
Il prof. Umberto inizia il libro con un pensiero per delle persone a lui care che, anche nel nome, ricordano la Vergine del Carmine, e termina con un battito del suo cuore verso la Madonna, ove è racchiuso il desiderio di presentare a Lei, alla Vergine che tutto può e alla quale nulla è negato, una invocazione “personale” alla Beata, che da millenni è acclamata come Regina e viene invocata come soccorso alle nostre necessità e miserie:
Benedetta e Immacolata Vergine Maria,
bellezza e gloria del Carmelo,
Tu che tratti con bontà del tutto speciale
Coloro che indossano il tuo amatissimo abitino,
volgi anche su di me uno sguardo propizio
e coprimi col manto della tua materna protezione.
Col tuo potere fortifica la mia debolezza;
con la tua saggezza
illumina le tenebre del mio spirito,
aumenta in me la fede, la speranza e la carità.
Orna la mia anima con le virtù
Che mi rendano gradito al Tuo Divino Figlio e a Te.
Assistimi durante la vita,
consolami nella morte
e conducimi con la Tua amabile presenza
alla Santissima Trinità,
come tuo figlio
tutto dedito a lodarTi
e benedirTi eternamente in Paradiso.
Caro Professore, grazie per quanto ci avete raccontato e testimoniato sulla “Madonna e ‘a chesia nostra”, il mio augurio per la vostra fatica e la vostra preghiera è che “‘a monaceja nostra” possa rendervene merito ed esaudire ciò che il vostro cuore tremante ha posto ai suoi piedi!
Pubblicato a Agosto 2011
16 LUGLIO: FESTA DELLA MADONNA DEL CARMINE
Il 16 luglio la Chiesa celebra la Madonna del Carmelo: a Galatro, anche quando non c’era alcuna cosiddetta “festa civile”, anche se non passava per le strade del paese nessuna macchina ad annunciare la festa, nonostante questo i galatresi sapevano, e sanno!, che questo non è un giorno come gli altri… questo è un giorno di festa!
Lo sanno perché la festa della Madonna del Carmine, a Galatro, è una festa spontanea, semplice e vera, che ha la sua radice profonda nella tradizione più intima e più cara al popolo galatrese. I galatresi lo sanno perché sentono nel cuore che questa festa c’è, anche se nessuno ne parla, è presente anche quando non si vede… è come la luna che un pò non c’è e poi c’è di nuovo. Ma anche quando non si vede si sa che c’è lo stesso!
Ecco, la festa della Madonna del Carmine, per tanti galatresi è questo: sapere che c’è, anche quando tutto sembra buio… sapere che c’è, anche se fisicamente le circostanze ci portano lontano, sapere che c’è, tenersi pronti anche quando si è lontani, così come i contadini sanno, d’inverno, che la luglio ci sarà da mietere!
Proprio questi pensieri, che avevo già espresso in passato, mi sono tornati alla mente dopo una richiesta che, nei giorni scorsi, mi è arrivata dall’Argentina, da parte della Signora Teresa Piccolo: “Michele ti voglio chiedere un favore. Ti mando una foto della mia cara sorella Elsa, che da qualche mese non c’è più, se la puoi pubblicare il giorno della Madonna del Carmine, visto che lei era tanto devota alla nostra Madonna. La foto che ti mando mia sorella l’ha voluta fare con la Vergine nel 1960, prima di partire per l’Argentina e venire a Buenos Aires”.
Questopensiero che mi ha commosso, si inserisce a pieno titolo nella Tradizione che dal Monte Carmelo (Karmel tradotto significa: giardino-paradiso di Dio) iniziò il culto verso Maria, il più bel fiore di quel giardino di Dio, che divenne la “Stella Polare, la Stella Maris” del popolo cristiano e il 16 luglio del 1251 la Vergine, circondata da angeli e con il Bambino in braccio, apparve al beato Simone Stock, al quale diede lo ‘scapolare’ col ‘privilegio sabatino’, che consiste nella promessa della salvezza dall’inferno, per coloro che lo indossano e la sollecita liberazione dalle pene del Purgatorio il sabato seguente alla loro morte. Lo ‘scapolare’ detto anche ‘abitino’ non rappresenta una semplice devozione, ma una forma simbolica di ‘rivestimento’ che richiama la veste dei carmelitani e anche un affidamento alla Vergine per vivere sotto la sua protezione.
Proprio nei giorni scorsi da Radio Maria ho ascoltato padre Livio dire che: “la Madonna, tra le diverse apparizioni di Fatima, ai tre pastorelli è apparsa come la “Madonna del Carmelo”. La stessa santa Teresa d’Avila, la grande riformatrice del Carmelo, così inizia il suo libro delle “Fondazioni”: “nel nome del Signore, con l’aiuto della sua gloriosa Madre, di cui, benchè indegna, porto l’abito”, cioè lo scapolare, l’abito proprio dell’Ordine carmelitano che da secoli ha professato la più tenera devozione a Maria.
Anche quest’anno il rivivere questa festa ci riporta a quanto accadde duemila anni fa:il cristianesimo accade così nel silenzio della vita quotidiana e poi capovolge la storia, incendia i cuori e illumina il mondo. Anche al tempo di Augusto, in quella primavera dell’anno 747, a Roma, capitale dell’Impero, nessuno avrebbe mai degnato di attenzione una fanciulla ebrea di 16 anni che in un borgo oscuro della Galilea, Nazareth, aveva ricevuto una visita misteriosa e aveva coraggiosamente detto “sì” ad una maternità “impossibile”. Eppure per secoli lei sarebbe stata detta “beata”, per millenni sarebbe stata acclamata come “Regina”, amata come nessuna mai, rappresentata e cantata da centinaia di artisti, invocata da oceani di infelici come il loro dolce soccorso, chiamata da poveracci e re.
“Dicevo che vi racconto la chiesa del Carmine. L’idea di farlo, è maturata circa un mese addietro, quando, dal nostro Parroco, ho saputo che quest’anno per iniziativa di un gruppo di devoti, sarebbe tornata la festa civile in onore di Maria Santissima del Monte Carmelo. E mi sono riproposto di scrivere un racconto che, pur nel rigoroso rispetto della storia, abbandonasse i classici canoni della storiografia per seguire la narrazione di fatti ed eventi con l’unico intento di portare a conoscenza dei fedeli locali, ma in forma semplice e chiara, le notizie più importanti riguardanti la nostra “chiesiola”: con queste parole il prof. Umberto Di Stilo ha presentato “ai suoi compaesani” la sua opera Il culto della Madonna del Carmine a Galatro: un titolo che conduce direttamente al cuore del contenuto del volume e che in poco più di cento pagine ricostruisce la storia della diffusione del culto per la Vergine del Carmelo nel nostro paese.
E se ci sono degli interrogativi sull’origine della Statua della Madonna, in quanto non si dispone di elementi per stabilire, con certezza, la bottega dalla quale nei primi anni del XIX secolo è uscita la statua e neppure chi ne sia stato il suo autore, non si può non costatare come “la statua, insomma, è tutta un messaggio di amore e di bontà e, per le sue peculiarità artistiche, è sicuramente una delle scultura sacre più espressive di tutta la dotazione statuaria galatrese perché, nel muto linguaggio dell’arte, riesce a comunicare una profonda interiore bellezza e a trasmettere dolci e teneri sentimenti materni”.
Dalla lettura del libro scopriamo che “la Chiesa del Carmine recentemente è stata dichiarata bene di interesse storico e artistico e, come tale, sottoposto a tutte le disposizioni di tutela”. Così come mi ha fatto piacere leggere (e si può ben capire il perché!) che “nel 1937, l’arciprete Marazzita, che già da tempo aveva notato che le condizioni della chiesa lasciavano molto a desiderare, grazie al contributo dei fedeli ha potuto provvedere a rifare l’interno… e per tutti i lavori si affidò all’estro artistico di un giovane muratore locale: mastro Peppino Scozzarra, del quale in paese si diceva un gran bene. E il giovane artigiano non deluse le aspettative, anzi, confermò le voci di quanti assicuravano che più che artigiano Scozzarra era un artista e che come muratore aveva superato anche il padre… A testimoniare la raffinata creatività artistica di mastro Peppino Scozzarra, resta la balaustra. Una piccola opera d’arte. Soprattutto se si considera che è stata realizzata tutta, pezzo dopo pezzo, nella stessa chiesa e senza mai poter ricorrere all’aiuto di macchine”.
Nel libro, in segno di gratitudine e ricordo, non sono tralasciati i nomi dei promotori “storici” dei festeggiamenti civili in onore della Madonna del Carmine: Carmelo Marazzita, Rocco Congiustì, Vincenzo Martino, Fortunato Mandaglio, Ferdinando Ocello, Ferdinando Ocello junor, Bruno Distilo, Nicola Scoleri, Carmelo Biagio Distilo, Michele Lauro, Gregorio Riniti, Luigino Scozzarra, Gregorio Sorrentino; per, poi, descrivere i vari momenti della devozione alla Vergine del Carmine, che passano attraverso la festa, la processione, il catafalco, i mercoledì, la novena, la giornata di preghiera e digiuno in chiesa, lo scapolare… già lo scapolare o, come lo chiamiamo noi, l’abitino… quell’abitino che da inizio al libro del prof. Umberto, dove racconta che “una signora, devota della Madonna del Monte Carmelo, avendo saputo dal figlio, mio amico, che da tempo ho pronto per la stampa un volume sulla storia della chiesa e della parrocchia della Madonna della Montagna, mi ha chiesto: E da’ Madonna e da’ chesia nostra no’ scriviti nenti? “Madonna e chesia nostra”: non è stato necessario specificare a quale Madonna e a quale chiesa facesse riferimento. C’era il possessivo “nostra” che era più eloquente di ogni altra precisazione. Almeno per me che, come la mia gentile interlocutrice, sono nato e cresciuto in una abitazione assai vicina alla chiesa del Carmine. Praticamente all’ombra di quel piccolo ma caratteristico e, almeno per noi galatresi del quartiere “La Madonna”, sicuramente unico campanile. La stessa signora credo sia l’ultima devota che ogni anno, per amici e conoscenti che glielo chiedono, confeziona lo scapolare, l’abitinu, come ancora oggi preferiamo definirlo comunemente. Già. Abitinu quasi sicuramente perché chi lo indossa con fede, acquisisce un abitus speciale; una corazza protettiva che preserva dal fuoco dell’inferno. Anche per questo nell’iconografia più comune ai piedi della Madonna del Carmine, tra alte lingue di fuoco, si notano tante anime pronte a prendere lo scapolare che la Madonna e il suo Divin Figliuolo tengono in mano. E’ lo scapolare che salva dal fuoco eterno, e quelle anime sono desiderose di essere salvate. L’abitinu, la Signora di cui parlo, lo ha confezionato anche a me e, lo ha impreziosito con il ricamo in seta bianca del monogramma che da sempre ci richiama Maria”.
E, su questo argomento, penso sia, da parte mia, necessario soffermarmi un attimo sulla “Signora” dell’abitino, che conosco molto bene e per questo posso ben testimoniare che la “Signora” ha avuto sempre un legame particolare, una predilezione particolare verso la Madonna del Carmine e la sua chiesetta: ricordo che da bambini, io e mio fratello, avevamo sempre attaccato alla spallina della canottiera l’abitino della Madonna del Carmine, preparato con cura e devozione da parte della “Signora” proprio come un affidamento dei suoi figli alla Vergine del Carmelo, per vivere sotto il suo sguardo e la sua protezione. Oggi, a distanza di anni, nel rivedere qualcuno di quegli abitini sgualciti dal tempo, che ancora gelosamente conservo tra le mie cose più care, si riempie il cuore di meraviglia e stupore, con la tenerezza di tutta una attenzione verso una storia che non mi ha mai allontanato dalla “nostra” Madonna.
LA FESTA DELLA MADONNA DEL CARMINE
A Galatro la prima domenica di agosto viene celebrata la festa della Madonna del Carmine e… anche se, ormai da tanti anni, non ci sono più i cosiddetti festeggiamenti civili… anche se nessuno lo dice con i soliti manifesti che si affiggono sui muri… anche se non c’è nessun cantante per allietare la serata… anche se non passa per le strade del paese nessuna macchina ad annunciare la festa… nonostante questo i galatresi lo sanno, sanno che questo non è un giorno come gli altri… questo è un giorno di festa!
Lo sanno perché la festa della Madonna del Carmine, a Galatro, è una festa spontanea, semplice e vera, che ha la sua radice profonda nella tradizione più intima e più cara al popolo galatrese. I galatresi lo sanno perché sentono nel cuore che questa festa c’è, anche se nessuno ne parla, è presente anche quando non si vede… è come la luna che un pò non c’è e poi c’è di nuovo. Ma anche quando non si vede si sa che c’è lo stesso…
Ecco la festa della Madonna del Carmine, per tanti galatresi è questo: sapere che c’è… anche quando tutto sembra buio… sapere che c’è… anche se fisicamente le circostanze ci portano lontano… sapere che c’è… pensarla, tenersi pronti anche quando si è lontani, così come i contadini sanno, d’inverno, che a luglio ci sarà da mietere…
La Tradizione racconta che sul Monte Carmelo (Karmel tradotto significa: giardino-paradiso di Dio) si ritiravano degli eremiti, vicino alla fontana del profeta Elia; poi proseguirono ad abitarvi, anche dopo la venuta di Cristo, e verso l’anno 93 un gruppo di essi, che si chiamarono ”Fratelli della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo”, costruirono una cappella dedicata alla Vergine.
Iniziò così un culto verso Maria, il più bel fiore di quel giardino di Dio, che divenne la “Stella Polare, la Stella Maris” del popolo cristiano e il 16 luglio del 1251 la Vergine, circondata da angeli e con il Bambino in braccio, apparve al beato Simone Stock, al quale diede lo ‘scapolare’ col ‘privilegio sabatino’, che consiste nella promessa della salvezza dall’inferno, per coloro che lo indossano e la sollecita liberazione dalle pene del Purgatorio il sabato seguente alla loro morte.
Lo ‘scapolare’ detto anche ‘abitino’ non rappresenta una semplice devozione, ma una forma simbolica di ‘rivestimento’ che richiama la veste dei carmelitani e anche un affidamento alla Vergine per vivere sotto la sua protezione.
Per questo la festa della Madonna del Carmine non ha la durata di un solo giorno, perché è carica di mille significati: in pratica, nella sua essenza, non è altro che l’esperienza della fede, rivissuta così come è stata tramandata da innumerevoli generazioni, dentro un patrimonio culturale nato dai riti imparati nella Chiesa, su cui appunto, per secoli, si sono modellati i gesti, il linguaggio, le feste e anche il lavoro.
Anche quest’anno il rivivere l’avvenimento di questa festa ci riporta a quanto accadde duemila anni fa. Il cristianesimo accade così nel silenzio della vita quotidiana e poi capovolge la storia, incendia i cuori e illumina il mondo. Anche al tempo di Augusto, in quella primavera dell’anno 747, a Roma, capitale dell’Impero, nessuno avrebbe mai degnato di attenzione una fanciulla ebrea di 16 anni che in un borgo oscuro della Galilea, Nazareth, aveva ricevuto una visita misteriosa e aveva coraggiosamente detto “sì” ad una maternità “impossibile”. Eppure per secoli lei sarebbe stata detta “beata”, per millenni sarebbe stata acclamata come “Regina”, amata come nessuna mai, rappresentata e cantata da centinaia di artisti, invocata da oceani di infelici come il loro dolce soccorso, chiamata da poveracci e re.
In quella piccola ragazza si è compiuto il miracolo più grande che potesse accadere, il più sconvolgente ed il più inspiegabile, per dirla ancora con San Bernardo, nel XXXIII canto del Paradiso della Divina Commedia di Dante:
“Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura”…
Di solito i festeggiamenti si aprono con la messa serale che dà inizio alla “novena”, con suoni di tamburi e di campane per poi continuare il giorno della vigilia quando la statua della Madonna viene levata dalla nicchia ed esposta, in Chiesa, al culto dei fedeli, mentre intorno si leva l’inno alla Vergine:
Meglio che aurora fulgida,
che fu la notte oscura,
tra noi venisti a nascere,
Immacolata e pura.E luce a noi portasti
col sommo tuo splendore
Vergine del Carmelo,
Madre d’immenso amore.
La mattina della festa ci si sveglia con lo scoppio dei fuochi d’artificio e, già di buon’ora, per le vie del paese, dal passaggio della banda musicale e dei tamburi, il più delle volte, ma con il passare degli anni sempre di meno, con una coda di ragazzi al seguito…
Nel corso della mattinata è un continuo pellegrinaggio di fedeli che si recano in Chiesa per partecipare alla piccola processione per portare la statua della Madonna dalla Chiesa del Carmine in quella di San Nicola, dove poi si svolgerà la funzione religiosa.
Nel tardo pomeriggio nella piazza antistante la Chiesa, si raccolgono i fedeli che attendono il momento più significativo della festa: l’uscita della statua dalla Chiesa per la processione… infatti la statua viene portata fuori al suono interminabile delle campane, al suono delle marce intonate dalla banda e dal fragore dei tamburi e dei fuochi d’artificio.
La processione, un tempo, oggi accade sempre più raramente, veniva fatta fermare per la presenza, lungo il percorso, di numerosi bambini che, completamente nudi, venivano affidati dai genitori alle persone che portavano la “vara” e da questi alzati verso il cielo e verso la Statua, mentre tutti intorno battevano le mani, atto questo, attraverso cui si intendeva consacrare i bambini alla Madonna.
Passo passo, dopo aver percorso quasi tutte le vie del paese, la processione ritorna di nuovo nella piccola Chiesa del Carmine, dove al suono della banda e delle campane e dei fuochi d’artificio, la Statua della Madonna viene ricondotta ai piedi dell’altare e si pone fine ai festeggiamenti, mentre un coro di voci, stanche dalla fatica, rivolge l’ultimo pensiero alla Vergine:
Pubblicato a Agosto 2008Tu nostra gran Regina,
Madre di chi t’implora
Al tuo devoto Galatro
Grazie dispensa ogn’ora.Tu tutto poi proteggilo,
prega per noi il Signore,
Vergine del Carmelo,
Madre d’immenso amore.