PEPPE FORTE: DENTRO LA BELLEZZA DELL’ARTE… LA SALVEZZA
Certamente non è facile definire cosa s’intende per “arte”: ma per chi l’abbia veramente afferrata, amata, bestemmiata, ferita, implorata affinché l’arte potesse essere un grido, un sostegno, una possibilità per portare la propria vita verso il centro della sua verità e della sua origine, per questi l’arte è il luogo del dono creativo e insieme della ribellione ad ogni imposizione.
Non si può non riconoscere che il “luogo” dell’arte è, innanzitutto, quello dove sta l’artista, dove egli vive, dove risiedono le sue speranze, i suoi sogni, le sue delusioni, le sue paure, è quello che gli consente la massima fedeltà alle esigenze del suo dono creativo: intesa così, l’arte diviene il mezzo più efficace per poter rappresentare, anche o soprattutto, una profonda realtà di sofferenza e incomprensione di cui l’artista si trova ad essere, suo malgrado, amaro testimone.
Sono queste le considerazioni che ho fatto, qualche tempo fa, dopo aver visto le sculture di Peppe Forte, anche se ancora sono tutte da scoprire, nei suoi diversi stati d’animo, nei suoi modi di rappresentare la realtà, in tutta la forza di sintesi di cui è capace di trasmettere alle sue opere.
Peppe Forte è nato e vive a Limbadi, ma ha frequentato a Meda (in provincia di Milano) la “Scuola professionale intagliatori del legno”, dove ha acquisito professionalità e competenza nel campo dei restauri e degli intagli.
L’ho conosciuto mentre lavorava al restauro della statua lignea della Madonna del Carmine di Limbadi, anche se sono rimasto incantato di fronte alla scultura realizzata per l’altare della stessa Chiesa: “L’altare è stato realizzato – mi dice Forte – con la radice di una pianta di olivo. Ho voluto esprimere e sviluppare l’immagine del Paradiso, del Purgatorio, dell’Inferno e della Crocifissione. Sono partito dall’idea di un grande piede sul quale si doveva reggere tutto l’altare… poi ho cambiato idea. Anche il Cristo non è rappresentato sulla Croce, ma si libera della Croce proprio in mezzo alle persone che lo hanno crocifisso. Al di sopra di tutto ho rappresentato l’Eucarestia che raccoglie e abbraccia in sé, tutto quello che ho voluto rappresentare nell’Altare”.
Poi, piano piano, siamo diventati amici, ho avuto modo di parlare con lui della sua arte, di vedere alcune delle sue sculture e di scoprirne il misterioso fascino che trasmettono.
“Quando scolpisco il legno – mi dice – mi sembra di giocare, e se non scolpisco mi sento male, anche perché è l’unica cosa che mi soddisfa. Agli inizi lavoravo il legno su un tipo di scultura lineare ed armoniosa, poi un giorno ho avuto modo di vedere i lavori di Dalì e sono rimasto impressionato: c’erano delle forme così perfette in pittura, che sembravano delle sculture. Da questo mi è venuta l’idea dell’immagine a due, anche se, prima ancora di conoscere le opere di Dalì, avevo già intuito la tecnica della doppia immagine. Confortato dal fatto che anche un maestro come Dalì si è cimentato, in pittura, in questo lavoro, io ho sviluppato questa intuizione in scultura, fino ad arrivare a riuscire a realizzare anche una terza immagine”.
Colgo nelle opere di Peppe Forte una ricerca esistenziale che viene accostata alla sua arte con estrema serietà, considerandola anche un lavoro da eseguire con il massimo impegno, espressa in forme artistiche sottratte alla logica dell’arte “colta” per cercare proprie strade e individuare orizzonti diversi e meno accademici, anche se di grande valore e di massimo effetto.
In tanti lunghi discorsi che abbiamo fatto, non potevo non chiedergli da cosa, e come, nasce la sua scultura?: “Schizzi e modelli non ne faccio – mi ha risposto – anche perché il legno ti da già una forma. Il lavoro è tirare fuori quella forma, che c’è già nel legno, in base alla tua interpretazione, che nasce da quello che tu vivi, da quello che tu desideri, da quello che tu immagini. L’immaginazione è il primo momento, talvolta dura per giorni e giorni: immagini una scena che non riesci a toglierti dalla testa, ma che vedi già impressa nel legno. Poi, per realizzare la scena che hai in testa, c’è solo da togliere il legno che non serve”.
Che dire…Così l’artista “vede” e nel momento stesso che vede, l’artista ricorda e crea. Il luogo che vede è già il luogo della sua memoria e della sua creazione: questo, per Peppe Forte, è il compito del vero artista, custodire le immagini che vede perché non muoiano… e accetta questa sfida, anzi, il suo occhio e la sua fantasia sono condannati ad accettare questa sfida, perché sono l’occhio e la fantasia di uno che “vede” per “creare” e per “ricordare”… perché nelle cose che vede, l’artista dona alla sua opera il suo cuore, la trasporta in una dimensione diversa, creativa, che esprime il linguaggio, le ansie, le vibrazioni del cuore che imprime nell’opera dell’artista il suo sigillo.
Attraverso l’immagine l’artista può esprimere sia le forze indecifrabili che scuotono il suo animo, sia l’ispirazione che può tormentarlo sino alla materializzazione del suo pensiero artistico… e nelle sculture di Peppe Forte il volto umano non solo spicca, ma vive e snoda sentimenti ed emozioni misteriosi: “La faccia umana rientra nella mia idea di bellezza e di fascino – mi sottolinea – nelle mie sculture anche i piedi, i muscoli, talvolta, hanno la forma di una faccia. La faccia certe volte si intravede chiaramente, altre volte no… forse perché, certe volte, sento il bisogno di nascondermi pure io. Anche quando lavoro, e sono solo, mi sembra di essere osservato da 100 persone…”.
Non mi voglio elevare a critico d’arte, anche perché non ne ho la competenza, e soprattutto perché alla singolarità dell’opera, preferisco dare più risalto alla singolarità dell’artista e quindi fuggire da ogni scuola, da ogni tentativo di catalogazione, di imprigionamento, anche perché ogni opera d’arte, e quelle di Peppe Forte in modo particolare, rimane, per ogni critico serio, sempre un grande mistero. E per entrare in questo mistero, bisogna togliersi i sandali, accedere ad un altro terreno, avvicinarsi all’artista e alla sua storia, di cui il critico non può fare chiacchiere, né letteratura, né sentimentalismi, né patetismi, come tante volte si sentono.
Ho provato ad andare più in profondità, nei discorsi che abbiamo fatto, fino a chiedere che senso ha per Peppe Forte dire “arte”?: “C’è un momento – mi risponde – in cui ogni persona si misura con se stessa e capisce di avere dentro una forza, una forza che contiene un messaggio che deve essere comunicato. Ciò che mi spinge a scolpire il legno è, in primo luogo, perché è la mia passione; e poi sento che è l’unico modo che ho di trasmettere tutti quei messaggi che mi porto dentro”.
Questo è il significato che Peppe Forte da alla sua “arte”: questa parola pronunciata da lui come se fosse il suo sangue, come se si trattasse della parola che forma la sua “salvezza”, dentro la fatica e l’artigianalità quotidiana d’organizzare e dare forma e significato a quest’unico e solo tentativo… di salvezza!
Ciao ,vivo in Germania e sono sposato con Christina ,ho una tua scultura e volevo saperne di più ,mi ha sempre affascinato