PREGHIERA LAICA DI INDRO MONTANELLI PER GIOVANNI PAOLO II
Nel dicembre del 1999 ho pubblicato questo articolo, che voglio riproporre oggi 18 maggio 2020, nel centenario della nascita di San Giovanni Paolo II, perchè penso che è quanto di più bello e delicato ho mai letto.
Il Natale è alle porte, un Natale particolare, l’ultimo del Millennio che apre il grande Giubileo del 2000: tanti sono i pensieri che mi assalgono, talvolta distratti da questo grande can-can consumistico che rischia di coprire l’essenziale del Giubileo. Con questi pensieri, nei giorni scorsi mi è piaciuto “rivedere” le sequenze emozionanti ed impietose che la televisione ci ha fatto rivedere nei giorni scorsi: il vecchio Papa che inciampa sulla tomba di Gandhi e trema per il freddo in Georgia e che ritornato dall’ennesimo viaggio, ringrazia Dio di essere di nuovo a Roma. Quel corpo tremante di sofferenza, rimanda ad una dignità misteriosa e stimola diversi pensieri, straordinariamente commoventi. E la preoccupazione per la sua salute, spinge anche i laici a pregare per questo Papa.
Tra i tanti interventi, mi ha colpito la preghiera di un “laico”, Indro Montanelli, che sulla prima pagina del Corriere della Sera ha scritto una commovente e sincera “preghiera laica per il Pontefice”. Ritengo sia proprio il caso di trascriverla integralmente… senza aggiungere altro:
“Per la prima volta, sulla bocca di questo Papa itinerante, e senza fissa dimora, abbiamo colto qualche parola di sollievo per il suo rientro a Roma. Ma temiamo che si tratti di un attimo di rifiato, non di una conversione alla stanzialità. La sua vocazione all’apostolato missionario l’avevamo capita da un pezzo, oserei dire fin dal primo giorno della sua ascesa al Soglio: ce lo diceva la naturalezza con cui questo ex-parroco, venuto da una delle più povere Diocesi della poverissima Polonia, ne prendeva possesso per nulla intimorito dal fasto della Curia e dell’Urbe. Quello che non avevamo previsto è la partecipazione, poi l’ansietà, e ora l’angoscia con cui avremmo seguito il suo instancabile andare per il mondo, sia quello amico che quello ostile, col suo passo sempre più incerto, con la mano sempre più tremula e con la sua indifferenza ai pratici esiti di queste sue immani fatiche, come se fossero fine a se stesse. Quali forse sono. Non vorremmo sembrare egoisti e tanto meno irriverenti. Ma si rende conto, papa Wojtyla, del coinvolgimento dei suoi fedeli negl’incerti e agguati di questo suo errabondo vivere? Chi scrive è, tra i fedeli, uno dei meno fedeli e dei più distaccati. Non ho mai trepidato, lo confesso, per la sorte di una Papa: il Papa sta lassù, in un posto che non è ancora il Cielo, ma che non è più la Terra: non è dei ‘nostri’. Wojtyla, no. Lui, che forse più di tutti i suoi predecessori è vicino al Cielo, è dei ‘nostri’. Come tale noi lo sentiamo, ed ecco perché trepidiamo per lui.
Naturalmente non ci aspettiamo nulla da queste nostre parole, che il Papa probabilmente, anzi certamente, non leggerà, e che comunque urterebbero contro una vocazione ineluttabile. Questo è un Papa che non potendo morire sulla Croce, di cui forse si sente defraudato, cerca di non morire nel proprio letto fra medici e medicamenti. Non si fermerà, lo sappiamo, se non per riprendere ogni tanto un pò di fiato che gli dia la forza di rimettersi in cammino. Nessuno può trattenerlo perché la ‘missione’ è più forte di lui.
L’unica volta che andai a trovarlo per una piccola cena assolutamente confidenziale e off the record, vidi con i miei occhi la sua inassimilabilità a quell’ambiente solenne e fastoso, dove lui si era riservato un appartamentino da impiegato di categoria B. Eravamo soltanto in quattro col suo segretario polacco e il suo portavoce Navarro. E sebbene fossimo accuditi da una suorina anch’essa polacca, mi parve di consumare un pasto al ‘sacco’, come se dietro l’uscio ci fosse già la sua valigia bell’e pronta per un’altra partenza.
Mi venne fatto d’immaginare che una valigia la mettesse, la sera, anche ai piedi del letto, come per consolarsi di essere costretto a dormire, qualche volta, in quello suo. Non so naturalmente dove si proponga ora di andare, visto che pochi ormai sono gli angoli della Terra che il suo piede non abbia ancora calcato. Ma che ad andare rinunzi non ci credo. Sappia soltanto che dovunque vada, non ci andrà da solo perché ad accompagnarlo col fiato sospeso ci saremo tutti noi, anche i meno ‘fedeli’. Ignoro quale posto la Storia riserverà a questo Papa e su quali e quanti dei traguardi che si è assegnato riuscirà a portare la Chiesa. Ma credo che dei suoi duecentosessantaquattro predecessori, nessuno sia riuscito a mobilitare le folle che ha mobilitato lui: quelle che fanno ressa al suo passaggio e gremiscono le piazze per ascoltare la sua spoglia parola; più quelle che ne seguono da lontano i passi con l’ansia di vederlo da un momento all’altro crollare. Santo Padre, pensi un poco anche a questi”.