QUANDO PREVENIRE È PEGGIO CHE PUNIRE
“Quando prevenire è peggio che punire“: è il tema dell’incontro che si terrà martedì pomeriggio a Galatro e che mi piace collegare all’articolo 27 della nostra Costituzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. Non è ammessa la pena di morte. Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”. Si è fatta una scelta, una scelta alla quale io credo fermamente. Ma non ci credo solo perché, come avvocato, ho l’obbligo di farlo, ci credo perché nel mio intimo, nella mia esperienza professionale, ho maturato la convinzione che quello che è stato scritto nella Costituzione è profondamente vero. La pena concepita solo come castigo, solo come retribuzione, come dare del male per il male che si è fatto, serve a poco, anzi, può ingenerare nella persona condannata un sentimento di astio. La pena deve per costituzione tendere, aspirare, avere come meta finalistica quella di rieducare la persona che è stata condannata. È un’affermazione di principio bellissima, che dà entusiasmo, che appaga, disseta la coscienza delle persone che, per scelta di fede o per scelta umana, hanno questa concezione dell’uomo, ma che però si scontra con la realtà del carcere quale storicamente si è incarnata nel nostro Paese non solo negli ultimi decenni.
Tempo addietro un Magistrato di sorveglianza ha scritto: “Quando sono entrato per la prima volta, ho fatto un giro nell’istituto, ho visto tante persone chiuse a chiave nelle celle ed ho pensato ad un grandissimo ospedale con dei malati, senza che io vedessi girare per i corridoi medici ed infermieri. Un luogo in cui le persone erano chiuse a chiave senza nessuno che le guardasse. Dove manca il trattamento, la pena perde il suo scopo e diventa mero castigo, diventa mera vendetta sociale”. Delle condizioni del carcere si sono resi conto tutti entrandovi: in dottrina si discute su che cos’è la pena. La pena è la restaurazione dell’ordine che è stato violato, è la giusta pretesa della società di essere reintegrata, è rieducazione. Io credo che la Costituzione abbia fissato bene le caratteristiche di questi doverosi interventi sociali correttivi, senza mai sviluppare un filone punitivo, che non corrisponde alla nostra tradizione ed ancora meno alla tradizione cristiana. Nella Prefazione di Sergio D’Elia a “Quando Prevenire è peggio che punire” leggiamo: “In questi tre decenni, nel nome della guerra santa alla mafia, abbiamo assistito a un rovesciamento dei principi sacri, delle norme universali, delle regole fondamentali dello Stato di Diritto. Gli stessi processi e castighi penali, troppo garantisti e dagli esiti incerti, sono stati soppiantati da processi e castighi sommari, immediati e più distruttivi, quelli delle misure di prevenzione, dei sequestri e delle confische personali e patrimoniali. Le informazioni interdittive antimafia, le black e le white list stilate dai Prefetti, hanno stravolto il sistema di trasparenza e libera concorrenza e imposto il controllo di fatto sull’economia degli organi di governo sul territorio. Con lo scioglimento per mafia i Comuni sono stati commissariati dalle Prefetture, le istituzioni rappresentative di base sono state sospese e umiliate dal potere centrale. (…) Le storie che qui raccontiamo di imprenditori proposti o interdetti e di Sindaci sciolti per mafia svelano un dominio arbitrario, pieno e incontrollato degli organi decisionali, degli apparati giudiziari, di controllo e di sicurezza. Si dice che tutto questo strapotere è necessario perché di fronte c’è il male assoluto e il fine di combatterlo giustifica ogni mezzo. Anche se i mezzi che lo Stato usa a fin di bene assomigliano molto ai mezzi usati dall’anti-stato a fin di male. Anche se è la fine dello Stato di Diritto e vige lo Stato di sospetto, trionfa lo Stato di polizia e ritorna lo Stato dei Prefetti d’epoca fascista.”
Di questo e di molto altro si discuterà martedì 12 luglio alle ore 18.30 nel Giardino dei Cigni della Villa Comunale di Galatro nel corso della presentazione del libro “Quando prevenire è peggio che punire. Torti e tormenti dell’Inquisizione Antimafia” edito da Nessuno Tocchi Caino in collaborazione con Il Riformista e curato da Pietro Cavallotti, Lorenzo Cesa Valla e Miriam Romeo. Nel corso della manifestazione, patrocinata dal Comune di Galatro e dalla Camera Penale di Palmi, dopo i saluti istituzionali del Sindaco Sandro Sorbara e l’introduzione dell’Avv. Pasquale Simari, interverranno il segretario di Nessuno Tocchi Caino Sergio D’Elia, il Presidente della Camera Penale Avv. Giuseppe Milicia, gli scrittori e giornalisti Mimmo Gangemi ed Ilario Ammendolia, l’editore di Approdo Calabria Luigi Longo, gli avvocati Domenico Ceravolo e Salvino Galluzzo, la tesoriera di Nessuno Tocchi Caino nonché delegata per l’Italia nel Comitato contro la Tortura del Consiglio d’Europa Elisabetta Zamparutti e il direttore editoriale del periodico La Riviera Vladimir Rosario Condarcuri. Concluderà i lavori Rita Bernardini, storica esponente radicale e Presidente di Nessuno Tocchi Caino. Non è difficile immaginare che nel corso degli interventi si parlerà anche di questioni di assoluta attualità come la polemica innescata nei giorni scorsi dal Fatto Quotidiano e da alcuni parlamentari del Movimento Cinque Stelle contro gli esponenti di Nessuno Tocchi Caino, il Ministro della Giustizia Cartabia e il Direttore del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Renoldi in relazione alle visite nelle carceri e lo sciopero proclamato dalle Camere Penali Calabresi per il 14 e 15 luglio per protestare contro le gravi violazioni dei principi fondamentali dello Stato di Diritto che purtroppo si registrano nella nostra regione.