RICORDANDO ETTORE ALVARO: POETA E FIGLIO DI GALATRO
Da tanto tempo, da parte di alcuni amici che hanno la pazienza di leggere i miei scritti su Galatro Terme News, mi si continua a chiedere, insistentemente, come mai ancora non ho scritto niente di Ettore Alvaro, poeta galatrese d’adozione, rimasto sempre affettivamente legato al nostro paese.
Ettore Alvaro era nato a Catanzaro nel 1906 ma si è sempre “sentito” galatrese… il Comune di Galatro gli ha conferito la cittadinanza onoraria e lui, con tanto orgoglio, sulla sua carta intestata, sotto il suo nome aveva messo “Cittadino Onorario di Galatro”.
Alvaro è morto a Roma nell’aprile del 1996, all’età di 90 anni, mentre stava ultimando il Dizionario dialettale della provincia di Reggio Calabria.
Nel dicembre del 1990, sul giornale “Proposte” di Nicotera, ho pubblicato un articolo: “Dal Paese di Conia e Martino: Omaggio ad Ettore Alvaro”, con la pubblicazione di una delle sue poesie, a mio avviso, più belle: ‘U prisepiedhu meu’.
Dopo aver letto l’articolo Ettore Alvaro mi ha scritto una lettera, che mi piace pubblicare, in segno di gratitudine ed affetto.
Dal paese di Conia e Martino
OMAGGIO AD ETTORE ALVARO
Proposte, dicembre 1990
Dopo avere scritto nei mesi passati, su queste colonne, dei miei illustri compaesani Giovanni Conia e Antonio Martino (onore e vanto della cultura galatrese), come posso ancora tacere di Ettore Alvaro e delle sue opere? Sulla scia tracciata da questi due grandi compaesani, l’Alvaro è senz’altro riuscito, in tutta la sua produzione letteraria, a non essere da meno.
Mi è accaduto spesso di stupirmi leggendo le poesie di Ettore Alvaro: nel leggerle e rileggerle, soprattutto in luoghi lontani dal paese natìo, si prova un’emozione profonda, una familiare intimità che nasce dal riconoscimento dell’espressione più autentica del proprio ambiente.
Si avverte con chiarezza nelle poesie di Alvaro, come l’arte espressa nella propria lingua madre, può compiere il miracolo di dare respiro di universalità, non astratta ma concreta e vissuta, alle nostre piccole realtà paesane, consacrate ad una profondità tale che non svanirà rapidamente, ma si unirà e continuerà quella che è la tradizione culturale più autentica dei nostri paesi.
Ettore Alvaro è oggi uno dei maggiori poeti calabresi viventi, che nella sua immensa produzione letteraria ha sempre cantato di Galatro e delle sue tradizioni più intime e genuine. Anche se nato a Catanzaro nel 1906, si è sempre considerato, e si considera, galatrese: infatti è a Galatro, paese dei suoi genitori, che trascorre la sua giovinezza ed al quale rimane sempre legato spiritualmente.
Spesso mi chiedo come sarebbe stata la poesia di Ettore Alvaro senza la presenza costante della “sua” Galatro, con i suoi fiumi, le sue strade, i suoi ponti, le sue Chiese ed anche i suoi morti: non si può pensare la produzione letteraria di Ettore Alvaro senza questa “presenza”, di cui il desiderio e la nostalgia rappresentano il segno di una testimonianza che lo sorprende e lo stupisce così come, e forse anche di più, restiamo affascinati e stupiti noi che leggiamo le sue opere.
Come potrebbe Ettore Alvaro destare stupore in noi nel raccontarci, da Roma, dei luoghi dove noi viviamo abitualmente, se prima questo stupore e questa meraviglia non li ha provati lui stesso? E’ uno stupore ed una meraviglia che rimanda direttamente ai luoghi ed alle situazioni che hanno fatto nascere la sua poesia.
In questo senso, mirabilmente, il prof. Umberto Di Stilo, in uno dei suoi tanti articoli su Alvaro, ebbe a scrivere:
“… l’infanzia trascorsa nel piccolo paese di Calabria ha lasciato un segno indelebile nella coscienza del Poeta, sicché volti e personaggi, episodi e sensazioni si risvegliano poi nel fondo della memoria nei giorni lunghi e diversi dell’età matura”.
A queste mie soggettive considerazioni c’è da aggiungere un dato di fatto, forse singolare: le poesie di Ettore Alvaro si sono diffuse con una rapidità ed un’ampiezza che hanno del sorprendente, tenuto anche conto che non sono mai stati impiegati quei mezzi che, normalmente, vengono usati per lanciare un autore e le sue opere. Infatti l’Alvaro è diventato popolare spontaneamente, senza artifici e senza programmi.
Ettore Alvaro ha dato alle stampe la sua prima opera “Scifidhi” nel 1933: da allora ha pubblicato una lunga serie di volumi e conquistato i più prestigiosi premi, sia a livello regionale che nazionale.
Dopo “Schifidhi”, senza nulla togliere al resto della sua produzione, mi piace ricordare i volumi: E mò lejiti strati, Hiuricedhi, Quatrifogghiu, ‘A gonìa e ‘a ‘nchianata ‘o Carvariu, Galatru mia, Festa paisana d’atri tempi, Via Crucis, Angiala, Patannostru e Avi Maria, Imprecazioni dialettali calabresi, Il Carnevale in Calabria, ecc..
Ma, per me, la poesia più bella di Ettore Alvaro è quella che lui, forse, non sa neanche di avere scritto. Quando mi sono sposato, sono stati tanti gli amici che mi hanno scritto cose belle, ed io li ho tutti cari. Ma c’è stato Ettore Alvaro che, da Roma, prende un endecasillabo nella mia lingua madre, lo dispone in un telegramma e lo spedisce perché sente di augurare a me ed a mia moglie
CU AMURI MU GODITI LONGA VITA.
Ed io commosso, sollevo lo sguardo dal telegramma, aggiusto gli occhiali e mi guardo intorno: una corresponsione così da lontano, un messaggio in bottiglia così bello mi commuove, porta una ventata nuova di ossigeno.
Più di una volta ho preso in mano il telegramma, ed ogni volta la riscoperta di avere un amico lontano, che non ho ancora ringraziato per i suoi versi, ma che mi accompagna, con le sue poesie, in lunghi pomeriggi “oziosi”: tante volte prendo un libro, mi piace addentrarmi nella meraviglia e nello stupore delle poesie di Ettore Alvaro.
E spesso si fa sera insieme….
Proposte, dicembre 1990
Roma 6 gennaio 1991
Gent.mo Amico, Dott. Michele Scozzarra,
Avantieri, 4 gennaio, a mezzogiorno, ho ricevuto il graditissimo Suo plico contenente due numeri di Proposte: ottobre e dicembre 90 e il volumetto: C’era una volta…, che quasi ho finito di leggere, e La ringrazio della Sua squisita cortesia e del ricordo, sincero e amicale, che nutre verso me e della mia poesia.
I Suoi due articoli: quello su Martino e l’altro … li ho trovati molto interessanti. E per la verità m’è venuto subito il seguente pensiero: d’inviarLe un plauso per il ricordo che spesso fa dei nostri Galatresi che sono vanto ed onore del nostro paese. Questo non perché ha voluto segnalarmi “terzo tra codesto senno”, ma perché penso sia giusto e doveroso, parlarne e ricordarli ai galatresi stessi e agli altri. Perché a loro dobbiamo essere grati per la gloria che danno alla nostra Galatro. Anzi La esorto a continuare su questa scia e tirarne fuori tanti altri che hanno, e danno lustro al nostro paese!
Che dire del Suo articolo che mi riguarda? Molto bello e La ringrazio delle belle espressioni e pensieri che ha scritto. E se, come scrive, s’è commosso per quel mio endecasillabo augurale (nel nostro dialetto) che mi è venuto spontaneo, e nel quale ho pensato di racchiudere amichevolmente ogni più caro, gioioso e cordiale augurio nel giorno delle Sue Nozze, ugualmente mi sono commosso io, nel leggere e rileggere, quanto ha pensato di scrivere sulla mia poesia, specialmente quello che dice negli ultimi quattro periodi del Suo articolo.
Le confesso che non credevo che un endecasillabo, così semplice e spontaneo, Le avesse procurato, e Le procura ancora, sentimenti così belli coi quali Lei chiude l’articolo.
Ottima quella presentazione sulla mia poesia. E la ringrazio. Mi pare di leggere tanti altri lati che io stesso non mi conoscevo e mai sognavo di poter suscitare in chi, come Lei, s’addentra nei miei versi.
La domanda che Lei s’è posta: “Spesso mi chiedo come sarebbe stata, ecc.”, oggi, dopo aver letto il Suo articolo me la son fatta anch’io. E’ vero! Galatro mi ricorda tutto della mia infanzia. E se anche per poco tempo ci sono stato da bambino, l’ho nel cuore, ormai invecchiato (compirò, piacendo al Signore, il mio 85° compleanno il 2 marzo prossimo). E mi sento ancora vivo con tutti i sentimenti, grazie a Dio: scrivo, leggo, penso! Non so se è al corrente che ho pronto per la stampa un Vocabolario che dovrebbe racchiudere tutti i vocaboli di quasi tutti i vocabolari finora stampati. Ho raccolto, finora, quasi 36.000 vocaboli della sola provincia di Reggio Calabria! Le Case Editrici vogliono decine di milioni che io, purtroppo, da pensionato, non possiedo! Sto cercando aiuto a destra e sinistra, ma finora, le mie richieste sono state vane. Mi auguro che mi aiuti qualche Santo!
Un grazie sentito per aver fatto conoscere ancora una volta la mia poesiola: ‘U prisepiedhu meu!
E, ripeto, non so come esprimerLe il “mio grazie”, cordiale ed amichevole. Ricordo, con piacere, i Suoi articoli sul periodico parrocchiale di Galatro di anni fa, che custodisco con gioia e cura. …
RinnovandoLe, assieme a mia moglie, per Lei e la Sua gentile Signora, gli Auguri per il Nuovo Anno 1991, La saluto cordialmente, e mi creda, Suo Ettore Alvaro.
‘U Prisepiedhu meu
Finn’a mmò jeu avìa guardatu
Cu ntaressi e cu attenzioni,
‘u prisepiu preparatu
Cu grand’arti e divozioni.
Nc’era chidhu assai sfarzusu
Dintr’e chièsii e ‘ì cattedrali,
panoramicu, grandiusu,
cu cungegni e cu fundali.
Vidìa chidhu paisanu
Cu ‘i pasturi menzi i crita
E ‘i custumi fatti a mmanu,
raccamati oppure ‘i sita.
San Giuseppi, ‘u Bombinedhu,
ntra na casa sdarrupata,
o na grutta, a n’anguledhu,
e ‘a Madonna ndinocchiata,
e nu voi, nu ciucciaredhu,
supr’’a pagghia arrocculati,
chi lu Santu Bombinedhu
coddijàvanu cu ‘i hiati.
Scurria l’acqua ‘i na funtana,
‘a fiumara luccicava;
a na gurna na pacchiana,
saji e panni sci ammarava.
Cuntrastandu l’adhumari
d’’i lucigni a zampuridhi,
chianu chianu caminari
si vidìanu ‘a luna e ‘i stidhi
e na murra di pasturi
sparpagghiati e a tanti posi,
chi portavanu cu amuri
o Bambinu tanti cosi:
cu nd’avia, stritta ntr’e mani,
di ricotta na fascedha,
cu na cista china ‘i pani,
cu tenìa na palumbedha…
Ma a dhi tempi nenti nc’era
Di sti jochi ‘i fantasia:
pari, mancu na lumera
pemmu adhuci lu Misia.
Perciò, aguannu, pe Natali,
preparando ‘u prisepiedhu,
cu ‘i pasturi cchiù essenziali,
jeu mi fazzu pasturedhu,
mu rivivu dha nottata
quando Ddeu ‘n terra calàu
e d’’a Vergini Mbiata
dintr’ o sinu si ‘ncarnau.
Nenti muschiu, luci, nivi,
paisaggi, nenti strati,
chi su scusi o su motivi
mu si resta dhà ncantati.
Mbeci appicciu na lumera
Sulitaria pemmu adhuma,
signu ‘i fidi e di preghiera,
sinn’a quando si cunzuma.