SAN NICOLA… NOSTRO PATRONO
6 Dicembre 2007
Il periodo delle grandi feste “patronali” è da ricercare, nella maggior parte dei casi, nella stagione estiva: forse anche per questo, per molti anni, nel nostro paese, la festa del Patrono, ricorrendo nel tardo autunno, non è stata tenuta quasi in nessuna considerazione, al massimo si è sentito discutere del diritto al “giorno di ferie”, che la legge consente per la festività patronale, con relativa chiusura degli uffici.
Inutile negare come, il più delle volte queste “feste” sono caratterizzate dal risvolto “mondano e profano” che vede, a suon di milioni, esibirsi dei gruppi, che non hanno alcuna attinenza, o legame, con la festa ed il ricordo del Santo che si vuole onorare. Più di una volta, in tanti paesi, si è avuta la sensazione che un momento importante come la festa del santo Patrono, sembra andato inevitabilmente perduto… pare sia stato barattato con l’interesse per un concerto di Tizio o Caio.
Queste riflessioni, negli anni passati, più volte ho avuto occasione di fare, con qualche amico, commentando come in Chiesa i riti sono stati sempre quelli delle feste comandate: messa solenne, novena, preparazione, processione, altro… mentre per i “fedeli”… un giorno uguale agli altri, anche se la festa del Santo Patrono avrebbe dovuto essere la più sentita, la più spontanea e vera, quella che ha la radice nella tradizione più cara a tutto il paese.
Ho ancora vivo il ricordo del periodo della mia infanzia, quando ci si accorgeva che il periodo natalizio iniziava sì con l’Avvento, ma questo aveva le sembianze della festa di San Nicola, sia per il giorno di vacanza dalle lezioni scolastiche, sia per l’inizio dei giochi caratteristici del Natale, che allora erano ancora semplici ed essenziali: il gioco delle carte (quante serate a giocare, pochi spiccioli, a “stop”!) e l’immancabile “piroci”, o il gioco della “parìa” (che proprio nel giorno di San Nicola avevano inizio nel piccolo piazzale, allora non ancora cementato, che si trova tra la Chiesa ed il Comune).
Stimolato da queste considerazioni, ho voluto addentrarmi in una piccola ricerca sulla vita di San Nicola ed ho avuto il piacere di scoprire come, in un momento in cui si parla tanto di Europa e di “uomo mediterraneo” in tante manifestazioni e convegni, vale certamente la pena di spendere alcune righe su questa nobile figura di “Santo mediterraneo”, che è considerato un riferimento non trascurabile nella ricerca delle comuni radici cristiane delle Nazioni d’Europa.
Grazie alla testimonianza di figure come quella di San Nicola, la terra europea è diventata la dimora dell’annuncio cristiano e la cultura ispirata dal cristianesimo ha permesso che l’Europa non diventasse la parte occidentale dell’Asia (come vorrebbe la geografia), ma la terra degli uomini che si sono sempre distinti per i valori di cui sono stati portatori.
In San Nicola si incontrano le tradizioni della spiritualità d’Oriente e d’Occidente: in Inghilterra e in Polonia affermano che nella notte del 6 dicembre, il giorno della sua festa, nelle foreste i lupi belano come se fossero agnelli; in Grecia la sua Icona spicca dappertutto, sulle barche e sui velieri, nelle edicole e nelle chiese; in Russia e nei Paesi slavi vi sono addirittura due tipi di icone; nei paesi germanici ed in Polonia è considerato il Babbo Natale che porta i doni ai bambini. In Italia le tradizioni a lui ispirate sono diffuse nel Veneto, in Sicilia, Calabria, Campania e Puglia. In particolare nel nostro paese, fino a qualche anno addietro, era molto sentita la tradizione della benedizione del granturco (si riteneva che San Nicola durante la notte tra il 5 ed il 6 dicembre provvedesse a “pisciari ‘u migghiu”, che poi era di buon augurio mangiare il giorno dopo).
La letteratura popolare lo vede intervenire anche nella lotta contro lo spirito del male che abita le acque: soprattutto nel Mediterraneo è il compagno dei marinai e dei pescatori, che a lui affidano le famiglie, e scrivono sulle barche “Non avete paura, io sono Nicola, vostro protettore”.
In contrasto con la sua celebrità i dati biografici sono piuttosto scarni: è nato tra il 270 e il 275 a Patara di Lycia e non aveva ancora vent’anni, quando depose di nascosto tre borse di denaro davanti all’abitazione di un suo vicino, che aveva deciso, per l’estrema miseria, di avviare alla prostituzione le sue tre figlie. L’uomo volle vedere il volto del misterioso benefattore e, appostatosi, quando venne per la terza volta lo identificò. Ma Nicola gli chiese di tacere. Evidentemente ciò non avvenne, se la fama di così grande carità giunse ai tempi di Dante, che nella Divina Commedia così fa parlare Ugo Capeto: “… ancor della larghezza / che fece Nicolao alle pulcelle / per condurre ad onor loro giovinezza”. Lo storico Simeone Metrafaste racconta che Nicola fu eletto vescovo per volontà di Dio, infatti il decano dell’assemblea presbiterale, essendo morto Giovanni, arcivescovo di Myra, dice: “Il successore di Giovanni sarà un prete dal nome Nicola che, domani, prima dell’aurora, entrerà nella chiesa in cui siamo riuniti. E dopo una veglia notturna di preghiere Nicola comparve”. E così divenne arcivescovo di Myra, metropoli importante della Lycia, in Asia Minore, che corrisponde, attualmente, al villaggio di Demre in Turchia, ove svolse il suo ministero di Arcivescovo durante le ultime persecuzioni e fu arrestato e torturato e, secondo martirologi greci e siriaci, in carcere gli apparve Gesù e la Vergine che gli restituirono le insegne episcopali.
San Nicola avrebbe anche affrontato vari viaggi per mare, uno dei quali a Roma per incontrare Papa Silvestro; durante questo viaggio sarebbe passato per Bari profetizzando: “Qui riposeranno le mie ossa”. Il 6 dicembre di un anno compreso tra il 345 ed il 352 Nicola morì, come dicono le fonti, tra il pianto e la preghiera di tutto il popolo, costernato per la perdita di un così grande pastore, amico degli uomini.
Forse qualcuno si sarà annoiato di questo mio intervento piuttosto lungo… mi auguro di no, perché penso sia importante sottolineare alcuni concetti e ritrovare il coraggio di riappropriarsi del significato e del valore più autentico che riveste la festa per il Patrono, riconsiderarla motivo di riscoperta e di maturazione delle radici più autentiche dei nostri paesi e far sì che, almeno per un giorno, la vita del paese torni a riassaporare un gusto che ormai viene considerato come perso per sempre.
Ritengo che una piccola attenzione, per il mio santo Patrono, la dovevo proprio avere…
SAN NICOLA: UNA FESTA SPONTANEA E VERA, CIOE’ UNA FESTA CRISTIANA
7 Dicembre 2008
Non penso di essere stato il solo a pensare come nel nostro paese, da qualche anno a questa parte, la festa di San Nicola, nostro Patrono, sta assumendo dei caratteri che, nella loro semplicità e spontaneità, ci richiamano veramente a quella che è la vera essenza della festa cristiana.
I riti che si sono vissuti in questa festa sono quelli delle feste comandate (preparazione della novena, messa solenne, processione) e la gente vi ha partecipato numerosa, anche se non c’è stato nessun risvolto mondano di quelli che, di solito, attirano la presenza della gente… anzi, a dire il vero, per quanto mi riguarda, forse è proprio la mancanza del risvolto mondano che ci ha fatto gustare il vero senso della festa del nostro Patrono.
Quello che abbiamo vissuto nella festa di San Nicola è la testimonianza più autentica che ancora oggi, nonostante i grossi problemi che affliggono la gente, è possibile fare festa per ricordare e non per dimenticare: per ricordare chi siamo, le nostre radici, la nostra fede, la nostra cultura che è quella più autentica del popolo cristiano.
Insomma la festa è tale se diventa una occasione per rileggere la nostra vita alla luce di quella speranza e di quella promessa alla quale la nostra fede ci richiama: vale la pena di far festa per ricordarci di noi stessi, per scoprire il nostro vero volto e le nostre radici più autentiche, piuttosto che annullare ed annegare le nostre tradizioni più autentiche, e vere, per l’interesse per qualche concerto, che nulla richiama alla festa che si vuole celebrare.
La giornata è stata tutta una festa. silenziosamente, forse anche nascostamente, si percepiva nel volto della gente questo desiderio della festa, che si è espresso nella compostezza e serietà con cui si è partecipato alla processione (nonostante l’incidente della rottura del Pastorale, che nella via Madonna ha urtato contro un balcone!)… nel modo attento con cui si è partecipato alla Messa solenne dopo la processione.
E, perché no!, la festa è continuata con lo stesso spirito e significato anche nella piazza quando don Cosimo e don Giuseppe hanno benedetto “u migghiu” e tutto il resto che è servito per continuare a vivere in piazza tutto quello che durante la giornata si era vissuto in Chiesa.
Forse nessuno ci ha mai pensato… ma Gesù Cristo quando voleva indicare e parlare di una festa si riferiva sempre ad un banchetto, non aveva un altro esempio per indicare la festa… e la festa che abbiamo vissuto in piazza sera di sabato è stata una festa proprio in questo senso, perché carica di mille significati, non solo per la grande partecipazione dei fedeli: quella festa non è stato altro che il rivivere l’esperienza della fede, dentro un patrimonio culturale che è nato nella Chiesa e sul quale la nostra gente, nel tempo, ha modellato i gesti, il linguaggio, il lavoro e… anche le feste, le feste spontanee e vere, quelle che accendono il cuore e alimentano una speranza nuova… insomma le vere feste cristiane.
E la festa di San Nicola a Galatro lo è stata… è stata una festa vera, vale a dire… cristiana!
Il culto di San Nicola a Galatro e la tradizione del granturco bollito
6 Dicembre 2014
Umberto Di Stilo
Cambiano le mode, i decenni si raggomitolano ai decenni ma i culti e le tradizioni ad essi strettamente legati, quando fanno veramente parte della cultura di un popolo, “vincono di mille secoli il silenzio”.
E’ il caso del culto di san Nicola e della tradizione del granturco bollito a Lui strettamente legata che, per secolare tradizione, in moltissimi centri calabresi continua ad essere approntato per il 5 dicembre. Ciò per consentire la sua particolare benedizione nel corso della notte e poi essere consumato il giorno successivo, quando, secondo il calendario liturgico, ricorre la festività di San Nicola.
Il culto di questo miracoloso santo è molto diffuso in Calabria, regione nella quale è stato introdotto dai monaci greci ancor prima del X secolo.
Alla devozione al santo vescovo di Mira molti paesi della Calabria si richiamano anche nella loro denominazione: San Nicola da Crissa, San Nicola Arcella, San Nicola d’Ardore, San Nicola dell’alto, tanto per citarne alcuni. Diverse, inoltre, secondo antichi codici, le chiese e i monasteri bizantini che, sin dall’antichità, vennero realizzati sul territorio calabrese, a conferma che nella nostra regione il culto per questo santo ha origini antichissime.
A Galatro il culto per il santo vescovo di Mira è presente sin dalla fine del XII secolo. A quel tempo, infatti, gruppi di monaci greco bizantini, per sfuggire alle persecuzioni derivanti dalla lotta iconoclasta voluta dall’editto di Leone Isaurico, abbandonarono in massa i loro paesi orientali ed hanno trovato rifugio nell’Italia meridionale. Anche nel vasto territorio galatrese.
Mentre molti monaci preferirono rifugiarsi sulle colline, per meglio controllare gli eventuali arrivi di forze turchesche, un gruppo di monaci profughi trovò riparo in una zona interna della contrada Potàme ove provvide a dedicare a San Nicola il monastero edificato nei pressi del torrente che dà nome alla località.
Dalla fine del XIV secolo, poi, a San Nicola, come Patrono del paese, è dedicata la chiesa parrocchiale sul cui altare maggiore, successivamente, è stata posta al culto dei fedeli la statua di marmo alabastrino proveniente dal soppresso monastero di san Salvatore della Chilèna (altipiano della contrada montana “Castellace”).
Una menzione particolare merita la cattedrale di Mileto, anticamente dedicata alla Vergine, ma che per volere del Conte Ruggero venne poi dedicata a San Nicola i cui resti, proprio in quegli anni erano stati trafugati da Mira e portati a Bari. Successivamente, quasi per un atto di generale devozione, anche molte chiese parrocchiali di quella vasta diocesi vennero dedicate a san Nicola che di molti paesi divenne anche il Patrono. Com’era logico aspettarsi, con la diffusione del culto, in tutti i paesi si sono divulgate alcune tradizioni strettamente legate ad episodi della vita del santo. Si è diffusa, soprattutto, la consuetudine di preparare una minestra di granturco bollito che, con nome di origine magno-greca in molti paesi ancora oggi è chiamata “posbìa”. Secondo la tradizione il granturco bollito, sera della vigilia di san Nicola si doveva deporre sul davanzale di una finestra perché durante la notte il Santo vescovo potesse più facilmente benedirlo urinandovi sopra. Nel nostro paese, dopo anni di completo oblio, la tradizione del granturco bollito è stata ripresa. E’ bastato, infatti, che alcuni fedeli, come ex voto, mattina del sei dicembre avessero cominciato a portarlo in chiesa per farlo benedire e successivamente che lo avessero distribuito a quanti avevano partecipato al rito della messa. Inoltre – ma questa è storia dei recentissimi anni passati – è stato sufficiente che sera del sei dicembre, a conclusione della messa solenne, il parroco con secchiello ed aspersorio raggiungesse la piazzetta laterale alla chiesa per benedire il granturco che alcune devote, proprio lì, in un angolo appartato, avevano provveduto a bollire in un pentolone. Ed è bastato che quel granturco benedetto venisse distribuito in modica quantità a quanti erano presenti in piazza e mostrassero interesse a tenere in vita la tradizione, perché in molte famiglie la preparazione e consumazione del granturco bollito e benedetto riprendesse a diffondersi tra i fedeli galatresi che anche così vogliono onorare il loro santo patrono.
Una volta, in tempi di crisi, quando l’indigenza era una caratteristica sociale assai diffusa, la posbìa benedetta veniva consumata a fine pranzo, come benedizione celeste e come auspicio per la futura annata agraria ed era anche consuetudine offrirne agli amici (soprattutto ai vicini di casa) ed ai poveri.
La tradizione del granturco (o di qualunque cereale) bollito, nei paesi in cui è ancora in uso, vuole ricordare ai fedeli il miracolo che al tempo del suo episcopato mirese compì san Nicola. In quel tempo tutta la regione fu colpita da una grave carestia che mise in ginocchio la popolazione. Alcune navi, cariche di grano, partite da Alessandria d’Egitto furono costrette a fare sosta nel porto di Mira. San Nicola accorse e, salito su una delle imbarcazioni, chiese al capitano di sbarcare una discreta quantità di grano necessario per sfamare i suoi concittadini. Quello rispose che era impossibile perché il grano, destinato all’imperatore era stato pesato alla partenza e sarebbe stato ricontrollato all’arrivo, per cui se fosse stato notato un minimo ammanco avrebbe passato guai. San Nicola si assunse ogni responsabilità e alla fine riuscì a convincere il capitano. Furono scaricati molti sacchi di frumento che venne distribuito ai cittadini che trovarono grande sollievo perché subito – seguendo il consiglio di san Nicola – lo mangiarono bollito. Nei giorni successivi lo panificarono e quello che avanzò lo misero da parte per la semina. Quando le navi alessandrine giunsero a Costantinopoli furono controllate, proprio come aveva te-muto il capitano. Ma il peso del grano era rimasto prodigiosamente uguale a quello che alla partenza era stato caricato ad Alessandria. Questo miracolo è all’origine della tradizione della posbìa calabrese ma anche alla genesi della tradizione del “pane di san Nicola” che, soprattutto a Bari, durante i festeggiamenti di maggio, viene offerto ai pellegrini che per sciogliere i loro voti, giungono da ogni parte d’Italia.
San Nicola… la festa delle nostre radici
Michele Scozzarra
Da qualche anno la festa di San Nicola, Patrono di Galatro, stava assumendo dei caratteri che, con semplicità e spontaneità, richiamavano a quello che è la vera essenza della festa cristiana, cioè che è possibile fare festa per ricordare e non per dimenticare, per ricordare chi siamo, le nostre radici, la nostra fede, la nostra storia che è quella del popolo cristiano.
Piano piano, questa festa stava diventando una occasione per ricordare che vale la pena di “fare festa” per scoprire le nostre tradizioni più autentiche, e vere: silenziosamente, forse anche nascostamente, si percepiva nel volto dei galatresi questo desiderio della festa, espresso nella compostezza e serietà con cui si è sempre partecipato ai riti e alla processione. E, perché no!, anche nel modo in cui la festa è continuata, con lo stesso spirito e significato, nella piazza quando veniva benedetto “u migghiu” (la tradizione ritiene che San Nicola durante la notte tra il 5 e il 6 dicembre provvedesse a “pisciari ‘u migghiu”, granturco, che poi era di buon augurio mangiare il giorno dopo).
La festa di San Nicola ha rappresentato, negli anni, un gesto religioso carico di mille significati: il rivivere l’esperienza della fede, dentro un patrimonio culturale che è nato nella Chiesa e sul quale il popolo cristiano, nel tempo, ha modellato i gesti, il linguaggio, il lavoro e anche le feste, quelle che accendono il cuore e alimentano una speranza nuova nella vita… insomma le vere feste cristiane.
Proprio da queste considerazioni, penso che non si possa continuare a colpire la religiosità popolare con norme restrittive, che bloccano l’emergere e la trasmissione delle genuine istanze di fede nelle quali siamo cresciuti.
Qualche anno addietro mons. Giuseppe Casale ha usato parole splendide, riguardo alla religiosità popolare, sostanzialmente scoraggiata, proprio negli anni in cui la parola d’ordine dei vescovi italiani era “evangelizzazione”: «Supponiamo di intendere l’evangelizzazione “in antitesi” ad una religiosità fatta di elementi esteriori in cui la chiarezza della fede sia ancora carente: non riusciremo più a capire che la religiosità popolare può diventare essa stessa una forma di evangelizzazione e di proclamazione pubblica della fede. Il progressismo secolarista ha fatto perdere il senso della fede che si cala nella vita degli uomini. Ha fatto cadere nell’intimismo, o nel privilegio a piccoli gruppi di iniziati, relegando la gran massa nell’estraneità. Invece il cristianesimo è per il popolo. Perciò io dico: dobbiamo purificare la religiosità popolare mantenendola come espressione della fede di un popolo, come momento gioioso incentrato intorno al valore cristiano, alla venerazione della Madonna e dei Santi. Giovanni Paolo II ha più volte toccato questo punto. Ai vescovi della Puglia ricevuti in visita “ad limina” ha detto che svalutare la tradizione popolare significa ridurre le comunità umane, i nostri paesi, a deserti senza storia, senza linguaggi, senza identità. La religiosità popolare, infatti, è l’espressione della cultura locale toccata dalla Grazia e illuminata dall’incontro con l’annuncio cristiano.»
Ecco perché la festa di San Nicola (così come quella del Carmine, della Montagna, di san Rocco… e di ogni altro momento della nostra tradizione religiosa), sgravata e snaturata dall’assenza dei gesti di pietà popolare, quali sono le processioni, invece di essere un momento “religioso”, espressione delle tensioni e dei desideri della gente, rischia di diventare un momento celebrativo di un tipo di cultura che ha solo l’interesse a generare vaste aree di consenso: stiamo arrivando al punto che alle “feste patronali” si andranno a sostituire (purtroppo proprio nel giorno più importante per la tradizione della chiesa locale) anonime e consumistiche manifestazioni a gestione pubblica o privata, al di fuori della tradizione del popolo cristiano, concepite soltanto come momento di evasione e di sfogo.
Queste “feste”, sradicate dalla loro essenza cristiana, non sono più momenti in cui ci si riunisce per gioire di un avvenimento che coinvolge la storia di tutti, e ogni persona si sente inserita in una storia che gli appartiene e per questo, nonostante tutto!, non può non pensare alla vita, alla morte, al suo destino, a quello della sua donna, dei suoi figli, dei suoi amici…. perché se manca tutto questo, non ci può essere “Festa”, o per lo meno, una vera festa cristiana; infatti, nella gran parte dei casi, queste feste “alternative” sono il regno dell’approssimazione e dell’occasionalità, un po’ spettacolare ed un po’ effimera, in cui l’apparenza e l’allegria forzata prendono il sopravvento sulle tensioni, sulle domande e sui valori che hanno sempre caratterizzato il popolo cristiano.
Se non c’è la “Festa”, intesa come l’esperienza della fede, rivissuta così come ci è stata tramandata da innumerevoli generazioni, dentro un patrimonio culturale nato dai riti imparati nella Chiesa… se non si è in grado di fare festa per non dimenticare la nostra storia, la nostra fede, così come è proprio della tradizione e della cultura del popolo cristiano… se non si può fare questo, allora bisogna avere il coraggio di non “surrogare” momenti così intensi con palliativi chiamate “festività civili”; anzi è preferibile, ma soprattutto più serio, “fare la festa” ad ogni altro tipo di manifestazione che in niente si richiama alla tradizione religiosa popolare!