SE IL CITTADINO CRISTO NON C’ENTRA… CI RESTA SOLO IL GRANDE NULLA
Ho letto sui giornali dei giorni scorsi che nelle aule giudiziarie del tribunale di Ferrara, fatta eccezione per l’aula F, è sparito dalla pareti, alle spalle del giudice, il crocifisso. Una presenza prevista da una norma del 1926 tanto che è ormai una consuetudine vederlo in alto, nella aule dei processi, spesso sopra la scritta “La legge è uguale per tutti”. Alcuni avvocati di Ferrara hanno dunque notato l’assenza di quel simbolo e ne hanno fatto motivo di una lettera al presidente del Tribunale Pasquale Maiorano per chiedere dove sono finiti e per vedere di nuovo i crocefissi in alto, lì nelle aule. Mancano da quasi un anno, rimossi un po’ alla volta. E’ tempo che ritornino, dicono gli avvocati. A firmare la missiva 23 di loro che si dicono anche disponibili a donarne di nuovi, qualora non venissero trovati quelli rimossi.
E’ questa, ormai, una cronaca alla quale siamo abituati… tempo addietro alcuni amici mi hanno rimproverato come mai ho tenuto, quasi nascosto, il pensiero di Sandro Pertini sul Crocifisso che, oggi più che mai, si presenta come una buona lezioni per tanti.
Diceva Cossiga in un suo libro-intervista, del linguaggio di Pertini e della questione del Crocefisso: “Lui (Pertini) ne teneva uno antico e bellissimo, nel suo ufficio e pare che un vecchio socialista, anticlericale, lo sfruculiasse: “Come mai, compagno Pertini hai in bella mostra questo crocifisso alle tue spalle?”. La risposta fu scoppiettante ma articolata: “Primo, perché questo è un popolo cattolico ed io ne sono il rappresentante e non vedo il motivo per cui dovrei offendere questo popolo. Secondo, perché quello lì, per le sue idee si è fatto crocifiggere. Terzo, per dare fastidio alle teste di cazzo come te”.
Dopo la schiettezza del pensiero di Sandro Pertini, mi piace riportare un mio articolo, pubblicato su Galatro Terme News nel novembre del 2009, dove evidenziavo come c’è qualcuno che ci vuole fare credere che, per pluralismo, non ci devono essere simboli religiosi sulle pareti… ci sta dicendo che ce ne deve essere uno solo: il Grande Nulla, adorato da quanti si oppongono al bene in ogni sua forma.
SE IL CITTADINO CRISTO NON C’ENTRA… CI RESTA SOLO IL GRANDE NULLA
Nei giorni scorsi si è ricordato, e festeggiato, il ventesimo anniversario della caduta del muro di Berlino. Ma… qualcuno ha sentito, anche per caso, qualche servizio giornalistico sulla caduta del muro in cui abbiano nominato Giovanni Paolo II?
Se non ne avesse parlato Lech Walesa, e Rocco Buttiglione, in un intervento che nessuno ha ripreso, la mia impressione è che praticamente tutti se ne sarebbero “dimenticati“: dimenticati proprio di chi è stato l’artefice di una “rivoluzione culturale” che ha portato alla caduta non solo del muro di Berlino ma di tutto un sistema di potere basato sulla violenza e sulla prevaricazione, in nome di una mai esistita libertà e uguaglianza. E se di Giovanni Paolo II non abbiamo sentito nessuna citazione, il Papa attuale non è stato nemmeno invitato.
Angela Merkel ha ricordato il giorno della caduta del Muro di Berlino come quello della “vittoria della libertà”, una libertà che non deve essere vista come un bene “sottinteso”, ma come qualcosa per cui si lotta ogni giorno. Wojtyla insegnava che è la verità che rende liberi. Ma questa verità a qualcuno conviene nasconderla dietro un muro, da dove non possa uscire… anche mentre si festeggia per la caduta del muro.
Tutto questo avviene nei giorni in cui, in Italia, si discute sulla sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che ha accolto il ricorso presentato da una cittadina italiana sulla presenza del crocifisso nell’aula scolastica del figlio.
E, a dispetto di tante farneticazioni che abbiamo avuto modo di leggere, c’è da dire che fu Cavour che mise la croce in classe … “Non fu il Concordato fascista a prescrivere il crocifisso a scuola ma, nel 1860, lo Stato risorgimentale, pur se in lotta con la Chiesa”: così recita un interessante articolo di Giuseppe Dalla Torre sulla questione:
“C’erano simboli religiosi nell’aula della famosa maestrina dalla penna rossa di deamicisiana memoria? Probabilmente sì; o almeno avrebbero dovuto esserci, stando alla normativa allora in vigore. Pochi sanno, infatti, che il regolamento per l’istruzione elementare del 15 settembre 1860, n. 4336, attuativo di quella famosa legge Casati del 1859 che costituì per un sessantennio la struttura fondamentale del nostro sistema scolastico, prevedeva l’affissione nelle aule scolastiche del crocifisso. La disposizione era destinata a passare sostanzialmente senza soluzioni di continuità nella normativa regolamentare successiva. In particolare, prima di essere ripresa dai provvedimenti dell’età del fascismo (tutti comunque precedenti al Concordato del 1929), essa venne nuovamente ribadita dal regolamento generale dell’istruzione elementare del 6 febbraio 1908, n. 150. Le origini storiche di una disposizione che oggi, talora, viene messa in discussione, ci dicono almeno due cose.
La prima è che, come simbolo religioso, il crocifisso è un simbolo passivo, in quanto tale non idoneo né diretto a costringere o ad impedire l’individuo in materia religiosa e di coscienza, né a contravvenire al principio della laicità dello Stato. Il fatto che lo Stato italiano laico e separatista prevedesse come facoltativi i corsi di religione nelle scuole, ma prescrivesse al contempo l’esposizione del crocifisso, ne è una evidente riprova.
La seconda riguarda il crocifisso come simbolo culturale. Non c’è dubbio, infatti, che esso esprima una storia, una tradizione, una cultura; in breve: l’identità degli italiani. Ed anche qui il fatto che lo Stato ne prescrivesse l’esposizione, pure nei periodi in cui la scuola divenne il terreno della più rovente conflittualità tra Stato e Chiesa, tra liberali e movimento cattolico, costituisce un fatto illuminante. Esso prova, infatti, che si tratta (anche) di simbolo culturale; di un simbolo che ha plasmato l’identità italiana e, con altri simboli, ha alimentato gli italiani dei necessari sentimenti di comune appartenenza. Ed è per questo che anche l’Ottocento liberale, e talora anticlericale, ne ha ritenuto non incompatibile, ma necessaria, la conservazione”.
Ma nelle recenti polemiche sulla presenza del Crocifisso, mi piace anche riprendere parte di un articolo di Franco Cardini, pubblicato su “il Sabato” nel settembre del 1990, per capire che siamo di fronte ad un tentativo di scristianizzazione “scientifico” che va ben oltre, e parte da molto più lontano dalle polemiche di questi giorni:
“I simboli non sono mai causali. Ad esempio, avrete notato che sulle ambulanze ormai la croce non c’è più… Visualizza altro. Essa è stata sostituita da un disegno a forma di asterisco azzurro, una specie del risultato della sovrapposizione di una I e una X. Ne risulta un disegno che non è lontano dal chrismon bizantino, il monogramma di Gesù Cristo: ma che ha tutt’altro significato. Mi dicono che in America quel disegno ha molto successo presso gli ebrei, perché il suo aspetto di stella a sei raggi ricorda la stella di David e i suoi colori, il bianco e l’azzurro, sono gli stessi di Israele. Se gli ebrei americani pensano questo, sono lieto per loro: ma debbo segnalare non solo che si contentano di poco, ma che rischiano di cadere in una spiacevole e pericolosa gaffe. In effetti, quel segno in apparenza innocuo ha un’antica tradizione runica. Esso è il risultato di due lettere sovrapposte, dal disegno identico ma l’una uguale all’altra rovesciata. Si tratta di due rune dette “della vita” e “della morte” (la seconda è celebre da quando è divenuta l’emblema del movimento antiatomico e più in generale pacifista). Il lato che gli ebrei americani potrebbero trovare spiacevole è che quei simboli venivano abitualmente usati dai servizi medici ed assistenziali nazisti. Non temete. Non intendo affatto dedurre che il nuovo simbolo delle ambulanze sia qualcosa di nazista. Esso proviene comunque da una tradizione americana e nordeuropea che ci è estranea; ed è impiegato sistematicamente e scientificamente per obliterare la croce. Un altro tassello del mosaico della scristianizzazione del mondo e del nostro immaginario. Sappiate ciò, e vigilate”.
Ho avuto modo di leggere nel numero di Tempi di qualche settimana addietro, un taz&bao significativo, che ci insegna che la storia si ripete, ma il Crocifisso ritorna sempre con la sua misteriosa vittoria. E’ un pensiero di Vincenzo Monti sul “cittadino Cristo” tratto dal testo “In morte di Lorenzo Mascheroni” del 1802:
“Narrasi a questo proposito un molto curioso aneddoto. Il consiglio legislativo della Cisalpina, di cui Parini era membro, teneva la sua adunanza nello stesso luogo dove siedeva l’antica Cameretta e dov’eravi un gran crocifisso, che un giorno alcuno di quegli esaltati repubblicani fece levar via. Giunto Parini e non vedendo più il crocifisso chiese fieramente ai colleghi: dov’è il cittadino Cristo? Al che eglino, ridendo e motteggiando, risposero averlo fatto riporre altrove perché non aveva più nulla a fare colla nuova repubblica. Ma l’austero poeta soggiunse: ebbene, quando non c’entra più il cittadino Cristo non c’entro più nemmen’io. E si dimise immediatamente dal suo ufficio”.
Per concludere che dire… mi fa pochi problemi che non ci siano crocefissi sulle pareti di un’aula; mi fa invece molto pensare, e penso che il vero problema è questo, che ci sia qualcuno che mi impedisca di metterli. Di fatto c’è qualcuno che ci vuole fare credere che, per pluralismo, non ci devono essere simboli religiosi sulle pareti… ci sta dicendo che ce ne deve essere uno solo: il Grande Nulla, adorato da quanti si oppongono al bene in ogni sua forma.
Pubblicato a Novembre 2009