UN PERSONAGGIO DEL NOSTRO PAESE: ‘U PROFESSORI RINITI
Ritengo che sia un gesto di grande civiltà, che una piccola comunità si ricordi del proprio passato, della propria storia, soprattutto, delle persone che, anche se hanno lasciato dei segni ancora oggi visibili, ormai non ci sono più. Ciascuno di noi conserva nel proprio cuore il ricordo delle persone care scomparse: familiari, amici, o semplicemente personaggi caratteristici del nostro piccolo ambiente… perché un paese, soprattutto piccolo come Galatro, è fatto di persone e personaggi e, soprattutto, questi ultimi sono persone più che semplici che, il più delle volte, spiccano per argutezza, bizzarria, originalità, dabbenaggine, sono protagonisti di storie, detti, casi che sembrano condensare in un sorriso quel che vi è di curioso nelle vicissitudini e sfaccettature dell’esistenza.
Non sono personaggi tipici, sono tipi… soprattutto per i particolari caratteristici e vicende strampalate che li hanno coinvolti nella loro vita che, proprio attraverso le loro strane vicende, hanno avuto la capacità di allietare la loro esistenza e quella di chi gli stava intorno. Nei nostri paesi ce ne sono stati tanti, e ce ne sono ancora, al punto che non è azzardato sostenere che è quasi impossibile raccontarle tutte le storie di queste persone.
L’altra sera, mi è capitata fra le mani una copia, stampata nel 2006, della rivista “Maropati e… dintorni” e la mia attenzione, non a caso, si è andata a posare sull’articolo “La fanciullezza ritrovata” a firma di Giorgio Castella dove, con dovizia di particolari, veniva descritta una scena, alla quale negli anni passati, è capitato anche a me di assistere più volte, che vedeva protagonista un nostro caro compaesano, ormai deceduto da tanti anni, Francesco Antonio Riniti, da tutti conosciuto come “’u professori Riniti”. Nell’articolo si legge:
«In Piazza Castello, a breve distanza dalla mia casa, nel mese di settembre, si svolgeva la festa di San Rocco, compatrono del paese. Ad organizzarla era il sarto mastro Giovanni che, per allietare le serate, chiamava un’orchestra di suonatori dilettanti, diretta dal “maestro” Riniti di Galatro. Tutti lo chiamavano “Maestro”, ma, in confidenza, non conosceva affatto la musica; io scoppiavo a ridere solo a guardarlo, per il portamento che assumeva: si presentava con eleganza, come se fosse una grande personalità. L’orchestra iniziava a suonare canzoni popolari, mentre gli organizzatori avevano preparato per il “maestro” una bacchetta sottile di ferro per dirigere l’orchestra. Con la complicità dei musicanti e del pubblico iniziava il vero spettacolo: si agitava tutto, faceva inchini ai nostri applausi, si comportava come un vero maestro intento a dirigere una grande orchestra. Era tutto felice, anche quando, come omaggio alla sua direzione artistica, gli offrivamo fiori puzzolenti, medaglie di cartone e attestati su carta da pacchi, fra gli applausi della gente entusiasta e di noi ragazzi che gridavamo a squarciagola: “Viva il maestro Riniti!”. Alla fine del concerto, come si fa per una grande star, lo portavamo sulle spalle in un breve giro di grande trionfo.»
L’articolo di Castella mi ha fatto ricordare come, anche il Prof. Francesco Distilo, in un suo pregevole libro dal titolo “Personaggi tipici galatresi”, ha mirabilmente descritto, e raccontato, la storia dei personaggi che hanno caratterizzato un periodo storico della vita paesana galatrese. In questo libro del “professore Riniti” leggiamo:
«Veniva soprannominato “Cristaredhu”. E’ nato a Galatro il 20 giugno 1906 da Nicola e Gambino Maria Antonia. Era sposato con Codispoti Maria Rosa, appartenente ad una famiglia di semplici ed onesti contadini, ha sempre lavorato e, onestamente, si è comportato nella società.
Verso i sessant’anni, non si sa come, si fissò di essere ottimo conoscitore di musica ed esperto suonatore di tamburo, grancassa e piatti. I giovani del tempo, scoperta questa sua fissazione, incominciarono a burlarsi di lui. A quei tempi, per le feste patronali, arrivavano a Galatro dei rinomati complessi bandistici e delle orchestre di grido per tenere concerti, all’aperto di musica classica. I giovani per meglio rallegrare le due serate di festa, negli intervalli o a fine serata, facevano salire sul palco il Riniti, il quale mettendosi sulla pedana del Maestro, con una bacchetta in mano, dirigeva un pezzo musicale eseguito, veramente, dalla banda o dall’orchestra in servizio. E’ logico che anche i componenti di quella banda si prestavano al gioco. La gente durante il concerto diretto dal Riniti, schiamazzava applaudendolo.
Alla fine gli venivano offerti fiori, medaglie e diplomi, medaglie e diplomi di nessun valore e preparati precedentemente. Veniva, dopo la consegna della medaglia, preso in braccio e girato per le vie del paese e, infine, accompagnato a casa, dove offriva abbondante vino a tutti i presenti che non erano pochi.
Si meravigliava, però, la gente, quando il lunedì, dopo la festa lo vedeva partire in campagna, dove seriamente lavorava. A questo punto ognuno si domandava: “ma siamo noi che prendiamo in giro lui o è lui che prende in giro noi?”. Questo è rimasto un interrogativo che non si è mai risolto. Con tutto ciò si è continuato fino a quando il Riniti ha avuto le capacità fisiche di suonare il tamburo e fino a quando non lo colse la malattia che lo costrinse a letto e a non uscire di casa fino alla morte.
I galatresi andavano a visitarlo portandogli dei regali. Il Riniti che era lucido di mente, ogni qualvolta vedeva quei giovani si riempiva gli occhi di lacrime e, col pensiero, andava ai tempi quando, assieme a quei giovani trascorreva le serate in allegria.
Qualche volta voleva vedere le medaglie e diplomi che aveva ricevuto e, ancora ringraziava quei giovani che lo hanno voluto bene. E’ morto all’età di 78 anni, il 25 dicembre del 1984. E’ stato accompagnato al cimitero e portato a spalla da quei giovani che, negli anni trascorsi, sono stati i fautori della sua, chiamiamola anche così, “Pazzia Musicale”.»
Io, come di fronte ad una vecchia foto che suscita le più imprevedibili e misteriose emozioni, ho ritenuto importante condividere, questa bella narrazione ricca di autentica umanità, per quanto bizzarra possa sembrare!, testimonianza di una semplice e genuina pagina di storia della nostra comunità… e non aggiungo altro!
Caro Michele, mi commuovo nel leggere questa tua bellissima pagina che evoca la genuina passione di un popolo, quello Galatrese, che non ha eguali nel cogliere il talento la generosità e l’arte, come la definisci tu, bizzarra, di taluni personaggi, nostri compaesani, che hanno lasciato il segno anche nelle giovani generazioni di Galatro. Ancora complimenti e tante cordialità.