UNA PREGHIERA PER DON ROBERTO MALGESINI: CHE DIO LO RICOMPENSI…
Mite, di poche parole, sempre pronto a intercettare il bisogno degli altri, a cercare risposte concrete, a colmare le distanze che creano emarginazioni e solitudini. Sono stati in molti a descrivere così don Roberto Malgesini, il prete accoltellato e ucciso a Como per mano di un immigrato tunisino che poi si è costituito: un uomo che don Roberto conosceva bene perché spesso lo aveva aiutato nelle sue necessità. A seguito di questo assurdo omicidio è esploso il dolore, per molti mescolato a un senso di ribellione per l’uccisione “insensata” del prete di 51 anni: un dolore che sembrava aver improvvisamente contraddetto il bene e la speranza seminati, si è misurato con le storie reali e l’immagine di Don Roberto è affiorata così dai ricordi di quanti lo hanno conosciuto, in una dimensione che va oltre la definizione del “prete di strada” che attraversa contraddizioni disperanti e spesso giudicate insanabili, quasi contrapponendosi anche senza volerlo alla vita sociale che scorre in un alveo diverso.
Nel suo agire ininterrotto e infaticabile per strappare dall’abbandono esistenze provate, bisognose di una mensa, di un dormitorio, di una visita medica, di coperte, di un certificato, di un lavoro… don Roberto testimoniava la sua fede, la sua passione per la vita umana, contagiava chi lo incontrava e anche tanti giovani che si aggregavano attorno a qualche sua iniziativa. Non era un prete mediatico, non amava mettersi in mostra o fare discorsi da capopopolo sulle contraddizioni sociali, era un sacerdote che svolgeva il suo ministero a servizio dei più poveri, senzatetto, immigrati, prostitute, carcerati: “Quando ha preso quella decisione di seguire gli ultimi, ha confidato un compagno di ordinazione, non ci stupì più di tanto, don Roberto era sempre stato buono, gentile e tanto umile, per me un grande amico, soprattutto un grande fratello”.
Il servizio di don Roberto però non era un semplice sforzo umano, prima di uscire ad incontrare le persone che aiutava, passava ore in preghiera, in adorazione del Santissimo. Si svegliava prestissimo e non teneva niente per se stesso. Ciò che faceva era proprio la sua vita e non avrebbe potuto cambiarla con altro.
La morte di don Roberto arriva a 27 anni esatti dal martirio del Beato Pino Puglisi e, in tanti, hanno pensato a questo anniversario non appena appresa lo notizia della morte di don Roberto, un uomo di Dio che è stato la testimonianza vivente della carità praticata nel silenzio, lontana dai riflettori, senza polemiche politiche o mediatiche e alimentata dalla preghiera e dall’adorazione. Questa morte assurda e crudele testimonia, in un crescendo drammatico, una chiesa che guarda ai poveri e agli emarginati perché si ostina a parlare di Dio, nei nostri paesi e nelle nostre strade, non perché ha chissà quale progetto da perseguire, ma per amore di Gesù Cristo, perché solo questo da valore a tutte le persone che abbiamo intorno, che sono le persone che noi amiamo.
Credo che la morte di don Roberto non abbia l’ultima parola sulla sua vita, infatti vediamo già dei frutti buoni che stanno nascendo nelle persone che raccontano la sua storia, che hanno reagito in modo forte e bello. Speriamo che davvero questa morte, e la grande testimonianza che ne è venuta fuori, non venga lasciata cadere nel vuoto, anche se ancora è il tempo del silenzio e dell’ascolto, per capire come ricominciare al meglio dalla testimonianza che don Roberto ci ha lasciato.